Crisi Internazionali, Crisi Israelo Palestinese, Geopolitica

Escalation a Gaza: l’inutile sfogo di una generazione in estinzione

17maggio – In questi giorni una delle maggiori potenze militari della Terra si confronta con un non stato, una striscia di sabbia di 400 km quadrati, dove abitano circa 2 milioni di palestinesi, semplici cittadini, disperati, civili inermi e terroristi. Parliamo di Gaza, diventata ormai una prigione a cielo aperto, da quando, dopo la vittoria di Hamas su Fatah nel 2007, il Security Cabinet Israeliano l’ha dichiarata una entità ostile e ha considerato i suoi abitanti ‘nemici stranieri‘, sottoponendola poi a un rigido embargo. Per comprendere ciò che sta succedendo bisognerebbe ripercorrere la storia convulsa di cento anni (era il 1922) di promesse tradite verso la #Palestina, ma forse avrebbe più senso ricollocare questo secolo nella storia millenaria più convulsa ancora e senza mai Pace della #Terrasanta, e più indietro fino ai fenici e agli assiri.

https://www.remocontro.it/2020/09/06/gaza-prigione-a-cielo-aperto-la-guerra-contro-i-bambini/

Si tratta di una terra di congiunzione fra diverse culture dove non c’è un momento nella storia in cui siano mancati momenti drammatici, che tornano alla mente nei momenti di crisi alimentando l’odio sia tra i Palestinesi sia tra gli Israeliani.

Così è successo anche pochi giorni fa, quando un gruppo israeliano, spinto da motivazioni ideologiche e non certo in buona fede, ha attaccato il quartiere storico di Gerusalemme, Sheikh Jarrah, per rientrare in possesso di alcune case che erano state occupate dagli ebrei prima del 1948, non riconoscendo il diritto dei Palestinesi che si sono trasferiti lì dopo che erano stati espulsi da Gerusalemme ovest.

I disordini che ne sono nati sono stati gestiti male e poco dalle forze di sicurezza israeliane, e con pochissimo equilibrio.

E non era in buona fede neanche chi fra i terroristi di Hamas e della Jahd palestinese si era dotato in anticipo di migliaia di razzi a Gaza. Probabilmente non era in buona fede neanche chi in Israele si è fatto sfuggire l’entrata di almeno duemila razzi a media/ lunga gittata nel territorio di Gaza, dall’Egitto o dal mare, e poi la loro messa a deposito in una striscia piana di pochi metri quadri. Una strana svista per il Mossad e Tsahal israeliano.

Il risultato è un continuo scambio di fuoco che sta portando la guerra fra il piccolo “non stato” iperarmato e il potente Stato, così incredibilmente sguarnito, entrambi noncuranti degli effetti del loro sparare sulle popolazioni civili proprie e di controparte.

Occorre fermare questa escalation che non porterà a null’altro che a una guerra di distruzione e morte per poi condurre alle stesse discussioni cui si potrebbe giungere subito, senza massacrare innocenti.

Ne ha parlato anche PapaFrancesco che ha fatto un appello, dicendo che la morte dei bambini , terribile e inaccettabile, è segno che non si voglia costruire il futuro, ma lo si voglia distruggere. Dice:

Mi chiedo: l’odio e la vendetta dove porteranno? Davvero pensiamo di costruire la pace distruggendo l’altro? In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro faccio appello alla calma e, a chi ne ha responsabilità, di far cessare il frastuono delle armi e di percorrere le vie della pace, con l’aiuto della Comunità Internazionale.”

Papa Francesco
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Se si approfondisce l’analisi di ciò che sta succedendo si comprende, però, che la situazione di Israele e Palestina è il culmine del degrado di un processo generazionale. Infatti sia Benjamin Netanyahu “Bibi” in Israele sia Mahmoud “Abu Mazen” Abbas in Palestina, sono gli ultimi esponenti di quella prima generazione testimone della divisione a tavolino del ’48 e delle guerre arabe, la generazione che ha combattuto e poi trattato e che, per lungo tempo, ha pensato di poter vincere cancellando l’avversario, prima di comprendere, con lentezza e contraddizioni, che esiste la possibilità di un compromesso.

Sia Bibi sia Abu Mazen sono spinti dai vecchi istinti e sono concentrati più sulla conquista del territorio che sulla sua buona gestione. Anche se ormai le condizioni sono cambiate, la militarizzazione è rimasta un must per entrambe le fazioni che continuano a ricevere fiumi di finanziamento: Israele da parte dei grandi gruppi finanziari e bancari con riferimento ebraico negli USA e i gruppi palestinesi, per mezzo dei fondi sovrani delle grandi monarchie islamiche, e fra queste, in particolare, i Paesi del Golfo. Proprio questi fiumi di soldi facili sono divenuti il veicolo principale della #corruzione e lo strumento per il #riarmo tecnologico, utile soprattutto alla difesa, per evitare, per quanto possibile, la guerra. Fa parte di queste opzioni anche il sistema antimissile Iron Dome israeliano, ormai vecchio di dieci anni, che intercetta ogni pericolo al cielo di Israele al modico costo di 50.000 dollari a colpo.

Abu Mazen e Netanyahu

Però, proprio questi problemi che permangono da almeno venti anni hanno fatto crescere, all’ombra della #generazioneanziana, una #nuovagenerazione dirigente, che ha raggiunto posizioni importanti e ricchezza, ed è pronta a sostituire la vecchia. Una generazione cresciuta in un Paese a due teste, un Paese in mobilitazione perenne e ossessionato dalla sicurezza, inondato ciascuno per propria parte da fiumi di denaro, e con interessanti potenzialità economiche e finanziarie.

Un Paese però malgovernato, con fortissime differenze economiche fra classi privilegiate urbane e aree agricole isolate. Un Paese in cui le classi sociali sono separate lungo linee etniche religiose, che si traducono in differenze di diritti, anche costituzionali. Divieti di spostamenti, divieti di matrimoni misti, polizia e esercito reclutati su base etnico-religiosa e via dicendo, come solo una occupazione militare può immaginare, ma con dettagli che scadono ormai in un rischio crescente di autentico apartheid nel medesimo Stato e nei medesimi territori.

Gli esponenti della generazione che ha combattuto e giurato distruzioni, difficilmente potranno eliminare i muri, cosa che invece potranno fare quelli della generazione successiva che è cresciuta in un mondo fatto di opportunità. Ecco che, nel giro di qualche settimana, ad esempio, Israele è chiamata a formare un nuovo governo con Lapid e Bennett, aperto per la prima volta ai rappresentanti eletti degli arabi israeliani.

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Ma una rivoluzione non dissimile da quella di Lapid è quella che sta per affrontare l’ANP. Come si sa l’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen nel 2006 perse in maniera cruenta il controllo della Striscia di Gaza (i rappresentanti ANP vennero trucidati) ad opera degli estremisti del movimento Hamas, corrispondenti locali della setta egiziana dei Fratelli Mussulmani che, di lì a poco, avrebbe preso il potere nello stesso Egitto. Dopo anni di estremismo e attività para-terroristiche, che li ha portati vicini all’Iran e ai gruppi sciiti libanesi, ultimamente Hamas (o meglio, elementi moderati di Hamas) era riuscito a riavvicinarsi a ANP, a concordare una data comune per le prossime elezioni, ottenere che l’ANP così definita potesse ricevere il riconoscimento di osservatore ONU (anche dall’Italia, e dal Vaticano). Rinviate per il Covid, queste elezioni comuni avrebbero dovuto svolgersi a breve, questo mese, e comunque rinviate dovrebbero cadere prossimamente. Un appuntamento così fondamentale che persino Marwan Barghouti, il leader storico della resistenza palestinese, dal suo carcere di massima sicurezza in Israele, ha fatto sapere di voler partecipare.

Ora al termine di questa descrizione si capirà che in una situazione così complessa, in cui una generazione politica comprende al di là di ogni dubbio di trovarsi a gestire gli ultimi mesi del proprio potere, la caduta accidentale di un fiammifero capace di causare un grande incendio, sia quasi un rischio inevitabile ma sia anche l’inutile sfogo di una generazione in estinzione.

Elisabetta Trenta

Nurlight Blog

Covid 19, Geopolitica, Strategia Vaccinale

Occorre raggiungere al più presto una copertura globale delle vaccinazioni anti-covid

L’annuncio di Biden sulla sospensione delle licenze dei vaccini, spaventa Big Pharma ma è una buona notizia

Siamo in una fase cruciale dell’evoluzione dell’epidemia, in cui per la prima volta davvero la coincidenza dei piani vaccinali dei Paesi dell’Occidente avanzato e l’arrivo della stagione calda nel nostro emisfero sta rallentando la diffusione del virus, ma tutto questo rischia in ogni momento di essere ribaltato dal mancato presidio di profilassi e terapia nei Paesi meno avanzati, dove ancora il virus divampa e produce varianti.

12 Maggio 2021 – Oggi in India si sono registrati circa 348.421 nuovi casi di Covid-19 e 4.205 decessi e, con un totale di 23 milioni di casi e 250 mila morti, è il secondo paese per numero di contagi e decessi dopo gli Stati Uniti. https://www.ilpost.it/2021/05/12/india-coronavirus-morti-stati-sud-est-variante/

Le pire per bruciare i cadaveri nelle strade e un centinaio di corpi galleggianti sul Gange https://www.corriere.it/esteri/21_maggio_10/choc-india-cadaveri-gange-e94c7c0a-b1a4-11eb-97b4-aa5e7b1c1388.shtml sono l’effetto della variante B.1.617 che ha messo in ginocchio l’India e di cui è stata provata l’esistenza in 44 paesi in tutte e sei le regioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). 

Eppure l’India produce 1,5 miliardi di dosi ogni anno (il 60% dei vaccini a livello mondiale) destinate a oltre 150 Paesi. Producono anche Astrazeneca e  il Covaxin, sviluppato dall’impresa indiana Bharat Biotech. 

Siamo, intanto, in una fase cruciale dell’evoluzione dell’epidemia, in cui per la prima volta davvero la coincidenza dei piani vaccinali dei Paesi dell’Occidente avanzato e l’arrivo della stagione calda nel nostro emisfero sta rallentando la diffusione del virus, ma tutto questo rischia in ogni momento di essere ribaltato dal mancato presidio di profilassi e terapia nei Paesi meno avanzati, dove ancora il virus divampa e produce varianti.

Ciò che sta avvenendo in India potrebbe succedere in tanti altri paesi dove i vaccini non arrivano e questo potrebbe compromettere la capacità globale di uscire dalla pandemia. 

Per questo motivo, quando qualche giorno fa la portavoce di Biden ha annunciato che il Presidente è favorevole a sospendere le protezioni dei brevetti per i vaccini contro il Covid-19 e si impegnerà in questo senso nei negoziati in corso al WTO con l’obiettivo di giungere al più presto a una copertura il più possibile globale delle vaccinazioni – comprensiva dei Paesi emergenti e in via di Sviluppo, in molti hanno esultato.  

Al di là dell’impatto politico e mediatico che ha riscosso giustamente una affermazione così dura pronunciata da un pulpito così prestigioso e insolito come la Casa Bianca, impatto che forse era il primo scopo della dichiarazione di Biden nei confronti di Big Pharma, forse è tempo per qualche riflessione sul merito della questione.

Innanzitutto, il primo collo di bottiglia delle attuali lentezze nelle vaccinazioni e dei ritardi di distribuzione verso i Paesi poveri, non è proprio la questione dei diritti di licenza ma il fatto che sussistono soprattutto limitazioni di esportazione imposte dagli Stati, e fra questi i primi sono proprio gli USA (e secondo UK). 

Solo rimuovendo questo blocco la questione può essere velocizzata e l’ha ben evidenziato l’Unione Europea in occasione della conferenza europea di Porto, quando Angela Merkel si era opposta con forza a ogni attentato alla proprietà intellettuale delle Società Farmaceutiche.
Certo esiste una clausola per tutte le Società che brevettano vaccini di emergenza, in questa fase, a consentire la produzione su licenza incondizionatamente a qualunque Stato si dichiari nella disponibilità delle strutture e dei mezzi, con il supporto tecnico di avvio della Casa farmaceutica originaria. Una clausola, per quel che si sa, finora rispettata ma che non risolve questioni di penuria in questi mesi di partenza, e non appare alla portata della generalità dei Paesi poveri, dato che la messa in servizio di una struttura produttiva per un vaccino Covid può richiedere 4 o anche 8 mesi, e presuppone l’esistenza di uno stabilimento farmaceutico di base che non è esattamente alla portata di qualunque Paese della Terra e, per ora, prevede per alcuni vaccini il mantenimento della catena del freddo.

Le potenze industriali emergenti  medio/grandi, come l’India, il Brasile, il Sud Africa o la Turchia, o Russia e Cina, potrebbero nell’arco di pochi mesi, al più entro l’anno, implementare linee di produzione per i vaccini più riusciti, l’India già ora produce frazioni enormi del fabbisogno di vaccino a bassa tecnologia, paradossalmente senza trattenerlo per la propria catastrofe seguendo logiche di puro liberismo.

E quindi è probabile che esistano anche altre poste in gioco di questa complessa partita: se gli USA stanno ancora bloccando le esportazioni di vaccini, e preferiscono ammonire Big Pharma a non fare scherzi prima di rilassare questa normativa, è perché il costo di mercato dei vaccini è già molto turbato, e la sua liberalizzazione con l’apertura dei rubinetti americani potrebbe impazzire, a meno che le grandi centrali farmaceutiche non si autoregolino almeno un po’.

Di fatto, misure come le drastiche sospensioni d’autorità delle licenze dovrebbero dunque intervenire in rincalzo e sanzione solo una volta accertata l’inadempienza della clausola di collaborazione da parte di una o tutte le società coinvolte, e appaiono più una minaccia che una strada di percorribilità legale.

Se gli USA sono poi così interessati a un flusso direzionale dei vaccini, se la UE ha già aperto la sua produzione fino a far fluire all’esterno addirittura il 50% dei vaccini di propria produzione verso le aree extraeuropee di primo interesse è perché nella primissima fase di epidemia si era assistito a un tentativo (fallito, ma riproveranno in autunno) di colonizzazione vaccinale da parte prima della Cina, con Sinovac, e poi da parte della Russia, con la svendita delle licenze produttive del propagandatissimo SputnikV, proposte ovunque come la panacea a ogni malanno.

Insomma, se abbiamo accusato sia Russia che Cina di utilizzare il vaccino per esercitare il soft power sul resto del mondo, anche l’iniziativa di Biden è indicativa di un uso “geopolitico” del vaccino, come strumento per mantenere il proprio supporto all’India, potenza importantissima per uno degli obiettivi principali degli USA: arginare la Cina. 

D’altra parte, a Marzo gli Stati Uniti avevano già dichiarato di voler donare 4mln di dosi di AstraZeneca a Canada e Messico, loro vicini, e si dichiarano ora pronti ad inviarne ad altri paesi circa 60 mln di dosi di Astrazeneca che non possono usare in quanto non autorizzato.  

 
Dunque grande è l’attenzione occidentale a far sì che, entro la fine dell’anno, sia larghissima ovunque la produzione dei vaccini propri, quelli a vettore RNA a basso impatto collaterale, quelli già sul campo, qualcuno ancora di formulazione USA e UE in gestazione, e dei vaccini monodose, quello esistente e forse qualche altro. 

Non si esclude che proprio su questi due settori anche Russia e Cina si preparino quindi a dare battaglia con prodotti concorrenti, evidentemente cercando di competere sulle possibili voci: costo, efficacia, disponibilità, metodi di conservazione, o cercando banalmente di conquistare mercati e aree di produzione.

Lo scopo principale di Biden potrebbe essere stato inoltre ottenere una compressione del prezzo, e disponibilità di lotti di produzione, specie nell’offerta del vaccino ai Paesi più poveri. E’ probabile che Big Pharma abbia già recepito il messaggio.

Quali che siano le ragioni dietro l’annuncio di Biden, credo che dobbiamo solo rallegrarcene perchè non sappiamo esattamente come andranno le cose in Africa, ma abbiamo degli indicatori preoccupanti.

Per raggiungere l’obiettivo di vaccinare almeno il 60% della popolazione (circa 780 milioni di africani) l’Africa avrà bisogno di circa 1,5 miliardi di dosi di vaccino ma ad oggi, non sembra essere pronta a somministrarle. Infatti, al 6 maggio, il continente africano aveva ricevuto oltre 36 milioni di dosi di vaccino COVID-19, ma ne ha somministrate solo 15 milioni. 

La nuova variante del virus, 501.V2, rilevata in Africa è più contagiosa di quelle finora note ed è diventata dominante in molte aere.

Se a queste informazioni aggiungiamo anche quella che all’11 maggio, sono state somministrate 1.297.498.534 dosi di vaccino anti-COVID-19 a livello globale e le persone vaccinate con la seconda dose sono 314.488.310, ed equivalgono al 4,03% della popolazione, comprendiamo bene che siamo ben lontani da quel livello di vaccinazione che può tenere lontane le varianti e da quella immunità di gregge “globale” che ci consentirà di tornare sereni.