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C’è troppo poco gas in Europa

Poco Gas, il freddo che arriva e le decisioni difficili

Qualche giorno fa la Russia ha chiuso i rubinetti di Nord Stream per fare pressioni contro le sanzioni e l’Europa tutta si prepara al freddo inverno senza sapere bene come sostituire il gas russo. Intanto i prezzi sono ricominciati a salire e le compagnie petrolifere guadagnano bene.

Lo stop al gas da parte russa probabilmente non è solo un effetto delle sanzioni, ma anche una risposta alla proposta del tetto al prezzo del gas. Lo scontro è altissimo. Il futuro energetico non è mai stato così incerto.

L’import di gas naturale dell’UE

Prima della guerra l’Europa importava il 40-45% del gas dalla Russia. Neanche i 20 paesi dell’OPEC tutti insieme raggiungevano questa percentuale (erano al 33%). Subito dopo veniva la Norvegia (con circa 20%), l’Algeria con il 10% e vari fornitori minori (Libia, Azerbaijan, Qatar). Nel tempo l’UE aveva anche cominciato ad importare GNL – Gas Naturale Liquefatto – tra il 5 e il 10% del mix energetico .

Dopo la guerra il rapporto tra GNL e gas russo importato si è ribaltato: la quota di export di gas naturale della Russia è scesa al 15 % (-30 % di quota di mercato) e l’Europa compensa quasi totalmente con il GLN che arriva soprattutto dagli Stati Uniti, con i quali l’UE ha raggiunto un accordo per la fornitura di 15 miliardi di metri cubi di GNL nel 2022.

Per il resto nell’UE non è cambiato molto. Infatti l’Algeria sta fornendo all’Italia una maggiore quantità di gas avendolo però sottratto alla Spagna per motivi politici; la Spagna invece sta acquistando una maggiore qualità di GNL.

L’accordo fatto con l’Algeria stabilisce che entro il 2024 “l’Italia riceverà dall’Algeria circa 9 miliardi di metri cubi di gas in più all’anno, rispetto ai 22,4 miliardi di metri cubi importati nel 2021 (21,2 miliardi di metri cubi attraverso il gasdotto Transmed che arriva a Mazara del Vallo e 1,2 miliardi di metri cubi tramite navi metaniere)”.

da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

L’import di gas naturale dell’Italia

In Italia la dipendenza dal gas della Russia era circa il 45-50%. Come per l’Europa, al momento questo valore è sceso un po’ sopra al 15% mentre è aumentato l’export dall’Algeria che è diventata il primo fornitore.

Inoltre è entrato in funzione il Trans Adriatic Pipeline (TAP), parte del Corridoio Sud del Gas (Southern Gas Corridor), che trasporta il gas naturale in Europa dal giacimento di Shah Deniz in Azerbaijan.

Il Tap è entrato in funzione lo scorso anno e fornisce circa il 15% del consumo italiano.

Per quanto riguarda i rigassificatori, e in generale i progetti energetici, in Italia sono sempre “variabili” trovando molta opposizione da parte della popolazione nel momento in cui devono essere collocati sul territorio. Gli impianti funzionanti sono tre,  La Spezia, Livorno e Rovigo. Ne sono poi previsti due di terra e due su nave. Quelli di terra sono Porto Empedocle (Agrigento, Sicilia), per il completamento del quale i finanziamenti sono stati sbloccati ad aprile 2022 e Gioia Tauro, e due galleggianti, con due navi da posizionarsi a Ravenna e Piombino, dove c’è grande opposizione perché la nave dovrebbe essere posizionata in porto.

Si discute inoltre di un ulteriore rigassificatore a Oristano  (Sardegna), e di ulteriori due navi rigassificatrici a Portovesme (Carbonia-Iglesias e Porto Torres (Sassari).

Da: https://luce-gas.it/attualita/italia-indipendenza-gas-russo-entro-2024

Nonostante l’Italia sia riuscita a limitare la sua dipendenza dal gas russo, se la Russia interrompesse totalmente le forniture, il Paese sarebbe in grandissima difficoltà. Infatti più della  metà dell’energia prodotta in Italia viene dal gas (contro il 25% in Germania) a causa di una transizione energetica più lenta che rende il nostro mercato dell’energia molto più sensibile alle variazioni del prezzo del gas. 

Da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

Perchè i prezzi sono impazziti

Il costo dell’energia è passato da 20 euro a megawattore a un picco di quasi 350. Un aumento vertiginoso dovuto soprattutto all’ eccesso di domanda anche se esiste una componente speculatoria.

Infatti il gas russo è più del 10% del gas mondiale. Sottrarlo dal mercato non può non far impennare i prezzi. Si pensi che la crisi energetica del 1973 avvenne in seguito alla decisione dell’Opec di ridurre la produzione di greggio del 7%. In Italia questo causò il varo da parte del governo Rumor del decreto “Austerity” (22 novembre 1973), che comprendeva una serie di provvedimenti per risparmiare dell’energia, come il blocco alla circolazione delle auto di domenica, l’abbassamento della temperatura degli impianti di riscaldamento, la chiusura anticipata di negozi e uffici.

Oggi l’Europa riesce ad avere ancora un po’ di gas perché sta pagando di più il GNL e le navi che lo contengono vengono riorientate verso di noi, ma i paesi più poveri restano senza e vanno in crisi energetica: lo Sri Lanka è quasi fallito, il Pakistan non riesce a generare elettricità e il Bangladesh sarà il prossimo a trovarsi in serissime difficolta.

Cosa vuol dire imporre il tetto al prezzo del gas

Quando si parla di tetto al prezzo del gas si possono intendere due provvedimenti di tipo diverso che dovrebbero servire, da una parte, ad abbassare il prezzo dell’energia per proteggere soprattutto famiglie a basso reddito e imprese, dall’altra a ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas dalla Russia e amplificare l’effetto delle sanzioni ad essa applicate. Entrambi i provvedimenti hanno pregi e difetti.

La prima proposta è quella di imporre un prezzo massimo all’acquisto del gas russo, l’altra è quella di applicare un prezzo massimo all’energia generata con il gas. 

Imporre un prezzo massimo al gas russo

Al momento più dell’’80% dei contratti in essere con la Russia è indicizzato alla borsa di Amsterdam, il TTF (Title Transfer Facility), un punto di scambio virtuale dove il gas può essere venduto e acquistato al di fuori dei contratti a lungo termine, sia per una consegna immediata. (Spot), sia per una consegna futura a prezzo fissato al momento dell’acquisto (Forward o, anche, Future).

Il 68% degli acquisti sul TTF nel 2021 ha riguardato contratti Future, e questo indica che il quel mercato le operazioni puramente finanziarie sono molte di più di quelle finalizzate ad acquistare fisicamente il gas. È sul TTF che si fa il prezzo del gas europeo ed è anche grazie a questo meccanismo speculativo che i prezzi vengono spinti verso l’alto.

Gasprom vendendo al prezzo formatosi alla borsa di Amsterdam sta guadagnando proprio dalla riduzione delle sue forniture: le sue entrate sono triplicate a fronte di un meno 75% di gas. (Vd. grafico successivo).

Da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

A queste condizioni, alla Russia non conviene smettere di fornirci totalmente il gas, perchè continua a guadagnare.

Come detto prima per l’Europa sarebbe conveniente fissare un price cap (tetto massimo) alla Russia per la fornitura dei suoi volumi di gas, ma a questo punto la Russia perderebbe i suoi guadagni e, quindi, potrebbe essere incentivata a chiudere totalmente le forniture.

Quest’anno, ai prezzi attuali, riuscirebbe infatti ad avere solo dal gas introiti per 100 mld che, con un tetto, scenderebbero a meno di 20 mld euro.

Dunque imporre il tetto spingerebbe la Russia a interrompere le forniture e in questo momento il mercato non ha quel 15% di gas che mancherebbe se Putin chiudesse i rubinetti. Servirebbero almeno due anni per sostituirlo e, intanto, il prezzo di tutto il resto del gas lieviterebbe probabilmente più in alto di quanto sia ora.

Imporre un prezzo massimo all’energia generata con il gas

Nel mercato dell’energia elettrica il prezzo dipende dal mix di energia generata e, in particolare, dal prezzo del gas che spesso è l’ultimo generatore perché facile da usare e sempre disponibile. Per questo il prezzo del gas determina il prezzo marginale.

Quindi se il gas costa 250 Ero mW/h inciderà anche sul prezzo delle rinnovabili perché è grazie al gas che possono essere usate sempre (le rinnovabili infatti sono incostanti e si possono utilizzare solo se integrate con il gas). Alla fine costeranno 250 euro anche se per produrle sono stato necessari 5 euro. Quindi anche il mercato delle rinnovabili viene drogato.

Spagna e il Portogallo hanno sperimentato invece dal giugno scorso l’imposizione di un prezzo amministrato all’energia generata con il gas sul mercato interno, pagandolo circa 40€ a MW/h. Dopo i primi sei mesi il prezzo aumenterà di 5€ ogni mese, arrivando al massimo a 70 €/MWh. Questo permetterà un risparmio in bolletta pari al 38% in meno rispetto al secondo trimestre 2022.

La misura non intaccherà gli introiti per la Russia, perché i produttori di energia continueranno ad acquistare il gas nel mercato internazionale allo stesso prezzo. Sarà poi lo stato a compensare la differenza di costo tra questo tetto e i prezzi TTF (la borsa di Amsterdam). Il costo per i due paesi per un anno è di 8,4 miliardi di euro. In pratica, si ricompensano i fornitori con soldi pubblici.

Il sistema apparentemente non sta funzionando bene perché lo stato recupera i soldi spesi dalle “compensazioni” sulle bollette e quindi per i cittadini è cambiato poco, e dal “reddito di congestione” (cioè i profitti della vendita di gas prodotto in Spagna alla Francia, che sta beneficiando indirettamente della misura acquistando elettricità più a buon mercato dal vicino iberico). Infatti le importazioni di energia prodotta in Spagna dalla Francia sono aumentate e questo potrebbe costare alla Spagna circa 1,2 miliardi di euro. 

Ciò nonostante, da quando è in vigore il tetto, i prezzi finali per i consumatori spagnoli sono stati regolarmente più bassi di quelli che avrebbero pagato senza il tetto. (Figura successiva).

Da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

Fatti i dovuti calcoli il sistema del tetto al mercato interno del gas potrebbe funzionare anche in Italia, anche considerando le diversità nel mix energetico rispetto alla Spagna. Sarebbe opportuno però valutare un recupero del costo pagato dallo stato per compensare i produttori interni, anche attraverso la tassazione degli extra-profitti come contributo di solidarietà a carico dei produttori di energia da combustibili fossili.

Le proposte della Commissione Europea

Il 14 settembre, durante il discorso annuale sullo Stato dell’Unione Europea al Parlamento Europeo in riunione a Strasburgo, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha proposto di tassare il 33% degli extra-profitti delle imprese produttrici di energia fossile a partire dal 2022, con introiti previsti di 25 miliardi di euro in più all’anno. I governi nazionali dovrebbero invece fissare un tetto massimo di 180 euro per megawattora alle entrate generate dai fornitori di energia nucleare e rinnovabile. Questo, a sua volta, genererebbe un profitto in eccesso di circa 117 miliardi di euro all’anno che dovrebbe essere incanalato in sussidi per le famiglie e le imprese in difficoltà che devono far fronte all’impennata delle bollette energetiche. 

La Commissione Europea prevede inoltre che entro l’inizio del 2023 dovrebbe essere varata la riforma del mercato dell’elettricità nella quale è previsto il disaccoppiamento del prezzo dell’energia elettrica proveniente dal gas naturale da quella di altre energie. Collegare il prezzo dell’energia elettrica al gas aveva senso 20 anni fa, quando le rinnovabili costavano molto, ma oggi è il gas ad essere più costoso e a spingere in alto anche i prezzi delle rinnovabili.  

La riforma del mercato elettrico sarà molto importante per tenere basse le bollette, ma sarà anche necessario incidere attraverso di essa sulle abitudini di consumo della popolazione incentivando il risparmio energetico affinche non sia annullato dall’abbassarsi dei prezzi.

Come passeremo l’inverno

Basterà il gas per l’inverno? Se non riduciamo i nostri consumi non basterà. Per ora li abbiamo già ridotti del 5% e non basterebbe comunque. Dobbiamo arrivare ad abbassarli di circa il 10% come dal piano del governo (Piano Nazionale di Contenimento dei consumi di gas naturale).

Se riusciremo a farlo, immaginando che la Russia possa chiudere totalmente le forniture di gas e che quindi la Germania possa avere molto più bisogno di gas dalla Norvegia che glielo venderebbe in cambio di un prezzo più alto di quello pagato dall’Italia, arriveremmo a zero scorte strategiche superando l’inverno.

In teoria, quindi l’Italia potrebbe superare l’inverno anche senza il gas russo e Norvegese. Ma per l’anno successivo non avremmo scorte.

Occorre una soluzione composita che preveda sia investimenti pubblici come la velocizzazione dello sviluppo delle rinnovabili (parchi eolici marini, energia dal moto ondoso, energia idroelettrica con costruzione di nuove mini dighe, geotermica, solar roads, power roads), il raddoppio del TAP, rigassificatori mobili o la riapertura, anche solo temporanea, dei nostri giacimenti di gas, sia investimenti privati, per esempio, per la realizzazione di comunità energetiche a livello di quartiere o condominio.

Occorre portare avanti con forza la scelta di fare delle rinnovabili una componente crescente e prevalente del mix energetico, da integrare fino a che è necessario, con investimenti meno green, anche temporanei. E intanto, spingere sulla ricerca per andare avanti sul progetto di decarbonizazione.

Dal punto di vista geopolitico, la differenziazione delle fonti di approvvigionamento è un obiettivo da perseguire sempre.

Ritengo che varrebbe la pena pensare a una unione tra i paesi del mediterraneo (europei, della sponda Nord dell’Africa e balcanici) che metta al centro della collaborazione la ricerca di un accordo sulla gestione delle risorse energetiche, ambientali e dell’acqua, risorse per le quali si svolgeranno i prossimi conflitti , se non si interviene.

Penso a una Comunità Mediterranea per l’Energia, l’Aqua e l’Ambiente (sul modello della CECA) all’interno della quale stabilire meccanismi regolatori e prevenzione dei conflitti comuni.

Immagine di copertina: Carta di Laura Canali, Limesonline https://www.limesonline.com/carta-dipendenza-europa-gas-russia/128427

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#ConflittoScacciaConflitto, l’Afghanistan dimenticato e le crisi che si sovrappongono

#ConflittoScacciaConflitto così, dopo nove mesi dalla fine della ventennale presenza militare in #Afghanistan, l’indignazione e la preoccupazione che ci ha tenuti davanti alle TV ad agosto, mentre assistevamo alla scena di centinaia di migliaia di persone ammassate intorno all’aeroporto di Kabul, sembra essere già dimenticata.

Eravamo esterrefatti nel vedere quegli uomini che sembravano manichini che cadevano dalle ali dell’aereo a cui si erano appesi, terrorizzati dal ritorno dei talebani con cui noi, l’occidente democratico, avevamo fatto dei patti nella ipocrita illusione che li avrebbero rispettati.

Eppure l’Afghanistan è lì con tutte le conseguenze del nostro lungo passaggio e del nostro essere andati via velocemente, fuggiti di fronte a una veloce avanzata di coloro che avevamo combattuto, mentre fingevamo di credere che avrebbero mantenuto parte di quelli che noi abbiamo ritenuto i successi della nostra presenza, soprattutto il progresso della società afghana, l’aumento della scolarizzazione per tutti e una maggiore libertà per le donne.

Oggi il ricordo di quei giorni di agosto sembra già quasi completamente cancellato dall’orrore di un’altra guerra e da un’altra catastrofe umanitaria.

Eppure qualcuno in Italia aveva detto che avremmo dialogato con i talebani buoni. 

Da qualche giorno i talebani hanno emesso un decreto che impone alle donne l’uso dell’ hijab e punisce il marito, i figli o il fratello se non lo indossano. Potrebbero infatti essere portati in tribunale e anche incarcerati per tre giorni.

La decisione viene dal ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio che è titolare anche dei controlli che esegue attraverso 7000 controllori.

“Le donne che non sono troppo anziane o troppo giovani devono coprire il volto a eccezione degli occhi, in rispetto delle direttive della Sharia, in modo da evitare provocazioni quando incontrano uomini che non sono parenti stretti”.

Il decreto dice anche che le donne che non hanno importanti mansioni da svolgere farebbero meglio a “restare a casa”.

Pare sia stato un compromesso tra talebani più moderati e radicali, tutto giocato sulle donne perché dovrebbe consentire di riaprire le scuole superiori femminili, ancora chiuse nonostante la promessa di riaprirle il 23 marzo. 

Si veda qui il video dell’annuncio: https://video.larena.it/video-server/media/video/215966.mp4

I talebani stanno soffocando di nuovo la vita delle donne che giorno dopo giorno perdono i diritti che faticosamente erano stati conquistati.

Intanto oggi il 95% della popolazione afghana, di cui 10 milioni di bambini, è alla fame con il costo della vita e i prezzi del cibo raddoppiati mentre i redditi sono scesi di un terzo e la disoccupazione è esplosa.

Tra l’altro il maggior esportatore di grano in Afghanistan è l’Ucraina e quindi la situazione può solo peggiorare.

Anche la situazione della sicurezza nel paese è al limite. Durante il Ramadan ci sono stati molti attacchi dello Stato Islamico del Korasan contro gli Hazara, gli sciiti, ed è prevedibile che con l’ondata di fame diffusa, l’Isis troverà nuovi adepti, mentre lo scontento per i talebani cresce anche tra chi all’inizio ha sperato che portassero pace nel paese. 

Mentre i talebani faticano a controllare il territorio l’IS-KP cresce e l’Afghanistan torna ad essere il centro del jihadismo.

Il Paese oggi è completamente isolato, nessun Paese ha ancora riconosciuto il governo dei talebani ma alcuni paesi stati come il Pakistan, la Russia, il Turkmenistan e l’Iran hanno ricevuto i loro diplomatici.

In Italia intanto, dopo la prima missione di evacuazione da Kabul degli Afghani che avevano lavorato con noi e ora rischiano la vita, si stava dando attuazione all’evacuazione di altri ex collaboratori e delle loro famiglie.

Ma è arrivata un’altra crisi umanitaria ed il nostro sistema di accoglienza è messo a dura prova.

E così oggi ci sono centinaia di persone che hanno ricevuto da noi una chiamata a recarsi in Pakistan o in Iran per poter poi essere accolti in Italia, che sono al terzo rinnovo del visto, hanno ormai finito i soldi per soggiornare nei due paesi e non sanno cosa devono fare perchè dall’Italia nessuno risponde. Una vergogna!

La guerra in Ucraina ci dimostra ancora una volta che il mondo non sta diventando più sicuro e le conseguenze che questa guerra porterà non solo nel Paese ma in Europa stessa e in tutti i Paesi dove ci sarà la crisi alimentare creeranno ulteriori pressioni sulle nostre coste.

E’ assolutamente necessario una revisione della normativa italiana ed europea sull’immigrazione e sul nostro sistema di accoglienza dei profughi e richiedenti asilo. perché fare annunci buonisti per poi disinteressarsi delle persone è ancora peggio del non fare niente, sopratutto dopo essere stati protagonisti noi stessi delle cause delle crisi umanitarie.

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Russia-Ucraina: andare oltre l’inevitabile per costruire un futuro possibile

I russi si ritirano, no non si ritirano, stanno solo fingendo, in realtà aumentano il numero di uomini al confine…la guerra fatta di informazioni tra Russia e Ucraina è iniziata da tanto tempo, quella vera ancora no e c’è sempre tempo per non farla scoppiare. 


La Ragione, l’esperienza, la  saggezza degli uomini e delle donne che contribuiscono alla costruzione della storia, momento per momento, dovranno fermare gli eventi. 

Credo che la guerra affascini, purtroppo è vero. 

Come dice Margaret Macmillan nel libro ‘War, Come la guerra ha plasmato gli uomini’, “la guerra è un mistero sia per chi la combatte che per chi vi assiste, un mistero complicato e inquietante. Dovrebbe suscitare ripugnanza eppure affascina e reca con se seducenti valori…”

Uno dei paradossi della guerra è che le cose per cui valga la pena vivere sono anche quelle per cui vale la pena morire, conquista, autodifesa, idee e sentimenti. 

Margaret Macmillan, ‘War, Come la guerra ha plasmato gli uomini’.

Ma l’uomo ha la ragione.

Mi piace ricordare a questo punto anche le parole di Papa Francesco nell’enciclica Fratelli Tutti, quando parla della guerra mondiale a pezzi ed accenna alla “mancanza di orizzonti in grado di farci convergere in unità, perché in ogni guerra ciò che risulta distrutto è «lo stesso progetto di fratellanza, inscritto nella vocazione della famiglia umana», per cui «ogni situazione di minaccia alimenta la sfiducia e il ripiegamento». Così, il nostro mondo avanza in una dicotomia senza senso, con la pretesa di «garantire la stabilità e la pace sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e sfiducia».

E ancora, in un suo discorso sulle armi nucleari, nel dicembre del 2019 Papa Francesco ha detto:

“La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale; sono possibili solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana di oggi e di domani.”

Papa Francesco, Enciclica Fratelli Tutti

Dunque abbiamo di fronte a noi, la realtà, di un mondo che scalpita verso la guerra e il modello di un futuro che sia determinato dall’interdipendenza e corresponsabilità della famiglia umana. 

In mezzo ci sono le nostre scelte. 

Bene sta facendo l’Italia a rimanere voce dialogante di fronte all’evidenza delle scelte di Putin, che di fatto ha accerchiato anche l’Europa costringendola quasi a prendere una posizione unitaria di difesa dell’Ucraina (aggiungo, sacrosanta difesa), ma che non ha posto di fronte alle richieste di Putin altre minacce. 

Io andrei ancora oltre: occorre una svolta che cambi totalmente la prospettiva. Occorre una distensione totale.

Andando avanti nella direzione intrapresa non si sta facendo altro che far unire i destini di Russia e Cina. 

Ma ragioniamo sugli interessi russi: Putin vuole la neutralità dell’Ucraina. Possiamo ancora scambiare questa totale neutralità con l’impegno della Russia a continuare a rispettare gli accordi di Minsk? 

Putin ha bisogno di una via di uscita che non sia una sconfitta. 

Anche la Nato ha bisogno di una via di uscita che non sia una sconfitta. 

Può bastare la dichiarazione di Scholz a Kiev “L’ingresso dell’Ucraina nella Nato non è in agenda” ? No perché durerà fino a che lui sarà al potere ma nulla assicura sul futuro. D’altra parte la Nato non può cambiare se stessa ed annullare la politica della porta aperta. E infatti il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, al termine della ministeriale difesa della Nato a Bruxelles ha detto: “La porta della Nato rimane aperta, qualsiasi decisione sull’adesione alla Nato spetta agli Alleati e ai Paesi aspiranti e a nessun altro”. Ha aggiunto “Il diritto di ogni nazione a scegliere la propria strada è assolutamente fondamentale per la sicurezza europea e transatlantica e va rispettato”. Quindi? 

Probabilmente se fossero tutti i paesi europei a fare la stessa affermazione di Scholz, il peso sarebbe ben diverso, Putin avrebbe raggiunto il suo obiettivo e la Nato non avrebbe piegato la testa di fronte alle pretese russe. 

È l’Europa che oggi deve giocare il ruolo richiamato da Papa Francesco, quello di riunire gli orizzonti. 

D’altra parte la Nato ha una grande opportunità: far ripartire il dialogo con Putin! Concedere alla Russia di inserirsi in una prospettiva europea.

Ricorda George Robertson, segretario generale NATO tra il 1999 e il 2003 che nel 2000 durante un incontro Putin gli chiese quando avrebbe invitato la Russia ad entrare nella Nato. Putin a quel tempo non  escludeva l’adesione della Russia alla Nato, a patto di essere considerato un partner alla pari degli altri. Putin riteneva che la Russia facesse parte della cultura europea e che non dovesse essere isolata dall’Europa.

Oggi occorre garantire le scelte sovrane dell’Ucraina e offrire piena sicurezza alla Russia. 

USA, UE e Federazione russa, tutte insieme, assommano poco più della metà della popolazione cinese, la Russia è una nazione di tradizione, religione, storia e cultura europee con uno sviluppo coloniale asiatico, ma pur sempre nazione europea. 

È indispensabile favorire uno sviluppo e un equlibrio multipolari con un perno statunitense e partnership paritarie UE e Russia

Sembra fantapolitica, ma a chi conviene spingere la Russia verso la Cina? A nessuno, neanche alla Russia che piuttosto potrebbe, un giorno, essere un ponte verso la Cina. 

Sappiamo tutti che basterebbe poco nella situazione attuale per dare fuoco alle micce e che questo potrebbe avvenire anche inconsapevolmente.

Ma occorre andare oltre l’inevitabile e sognare l’impossibile per preparare il futuro.

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Occorre fare di più per fermare il genocidio in Etiopia

In Etiopia si sta consumando una catastrofe umanitaria in seguito a una guerra di cui in Italia si parla troppo poco

L’antefatto

Il 16 settembre 2018 il mondo ha esultato quando, dopo 20 anni di guerra, l’incontro tra il primo ministro Etiope Abiy Ahmed e il dittatore eritreo Isaias Afwerki è stato il segno dello scoppio della pace tra i due Paesi che sono stati per un breve periodo colonie italiane.

Il primo Ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed (sin) con il ministro degli Esteri eritreo Osman Saleh Mohammed (dx) all’arrivo per i colloqui di pace. Aeroporto internazionale di Addis Ababa, Etiopia, 26 giugno 2018. (Photo by YONAS TADESSE / AFP/Getty Images)

Per questa pace e per aver annunciato che avrebbe varato riforme liberali in economia e politica e, quindi, dato concrete prove di voler rafforzare la democrazia, Abiy ha ricevuto il Nobel della pace nel 2019.

Un premio arrivato un po’ presto ma che rifletteva l’entusiasmo per questa nuova fase che doveva segnare un momento di stabilizzazione per tutto il Corno d’Africa e anche per le relazioni italiane con un’area con la quale manteniamo ancora molti rapporti di vicinanza.

Qui il post che pubblicai in quel periodo. http://urly.it/3fqx8

Sull’onda di questa ventata di riforme i rapporti tra Italia ed Etiopia cominciarono a svilupparsi più velocemente che in passato e io personalmente siglai un accordo di collaborazione nel settore della difesa con l’allora ministro della difesa etiope, Aisha Mohammed Musa.

Con la ministro Aisha Mohammed Musa (sin)

L’accordo prevedeva iniziative di formazione congiunte, trasferimento di conoscenze, operazioni a sostegno della pace, il contrasto al terrorismo e all’estremismo violento; la ricerca e lo sviluppo in ambito militare e la collaborazione in materia di industria della difesa”.

Certo non lo avrei firmato se avessi avuto anche il solo dubbio su quello che invece poi è successo. In quel momento però non avevamo indicatori che ci potessero far presagire il futuro; vedevamo, invece, un Paese che veniva da cinquanta anni di monarchia assoluta, rivoluzioni, guerra civile e autoritarismo, il cui nuovo leader, subito dopo l’arrivo al governo, liberava i prigionieri politici e i giornalisti, apriva ai partiti di opposizione e incoraggiava i ribelli a disarmarsi, terminava con la parola pace una guerra lunghissima con l’Eritrea e prometteva di tenere le prime elezioni libere nel secondo paese più popoloso in Africa.

L’inizio della guerra

A novembre 2020 però il Presidente Abiy ha dato il via a un’offensiva contro le forze del TPLF (Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè) che aveva accusato di perseguire obiettivi insurrezionali e di essere traditrici della patria. Cosa era successo?

Premesso che l’Etiopia è un paese molto frammentato dal punto di vista etnico, i cui nove stati sono divisi su base grossomodo etnico-linguistica. Lo stato di Oromia è il più popoloso, con circa 33 milioni di abitanti. Lo stesso Abiy Ahmed è di etnia Oromo, che è una delle più marginalizzate del paese che, però, dal 1991 non aveva più avuto un Primo Ministro, a differenza dell’etnia tigrina che, benchè rappresentasse soltanto il 6% della popolazione etiope, ha sempre espresso il Primo Ministro in carica.

Ulteriore precisazione per cercare di capire le motivazioni del conflitto è che Abiy vinse le elezioni, dichiarando di voler favorire l’unità nazionale e creare una forte identità nazionale, con il sostegno dell’ “Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF)”, una coalizione di cui il TPLF era parte fondamentale.

Dopo l’elezione però, per consolidare la sua posizione nella coalizione, Abiy creò il il Prosperity party – un partito più facile da controllare, che riuniva tutte le componenti tranne il TPLF.

La crisi con il TPLF si acui dopo che a settembre 2020 il Tigray aveva svolto le elezioni regionali ritenendo incostituzionale il ritardo a causa del Covid delle elezioni nazionali, che dovevano tenersi in Agosto. Abiy non aveva riconosciuto quelle elezioni.

Il 24 ottobre doveva avvenire un cambio di comandante nel Comando del Nord, dal quale dipendono circa la metà delle Forze di Difesa etiopi. Gli ufficiali in carica, molti dei quali tigrini e con simpatie per il TPLF, rifiutarono di accogliere il nuovo comandante.

Come sempre, un pretesto, un attacco armato del TPFL ad una base militare etiope, causò la risposta di Abiy che ordinò attacchi aerei con lo scopo di sciogliere il governo della regione del Tigray.

Da subito l’escalation militare ha avviato un processo che è andato ineluttabilmente verso una guerra civile (come quella del 1974-1991) che ha forti possibilità di destabilizzare l’intero Corno d’Africa e i Paesi più vicini come Egitto e Sudan, con i quali le tensioni sono aumentate a causa della costruzione della diga di Gerd (Grand Ethiopian Renaissance Dam), che l’Etiopia vuole portare a compimento anche senza aver raggiunto con Sudan ed Egitto un accordo sullo sfruttamento delle risorse idriche del Nilo.

La situazione umanitaria

Oggi la situazione umanitaria è disastrosa, con accuse da parte del governo al TPLF che utilizzerebbe bambini soldato dopo aver dato loro una droga, e dall’altra parte il popolo tigrino e i rifugiati eritrei, fatti oggetto di stupri, torture, massacri ed esecuzioni di massa, usati, insieme alla fame, come armi di una guerra che ha tutte le caratteristiche di un genocidio.

Cfr: http://tommasin.org/blog/2021-09-05/i-cadaveri-galleggiano-lungo-il-fiume-segni-di-genocidio-in-tigray

Di fronte ai 6,8 milioni di civili hanno un disperato bisogno di cibo, ai 70.000 rifugiati in Sudan, ai  2,2 milioni di sfollati interni, all’80% delle strutture sanitarie saccheggiate, alle decine di migliaia di civili massacrati e alle decine di migliaia di donne e bambine stuprate (Fonte dati: Account Twitter Tigray Italy) occorre trovare una soluzione immediata.

L’attenzione internazionale

Il Dipartimento di Stato USA ha avviato un processo legale per stabilire se effettivamente le notizie delle esecuzioni di massa e degli stupri siano il segno evidente di un genocidio in atto, ovvero, della volontà di “distruggere, in tutto o in parte sostanziale, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Una dichiarazione di genocidio vuol dire che quella guerra non è più un evento interno, è qualcosa che colpisce l’umanità intera e potrebbe, quindi, giustificare anche un intervento esterno.

Intanto il Presidente americano Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo per imporre sanzioni a tutti i criminali, di ogni fazione, autori di crimini di guerra e contro l’umanità, dall’ inizio della guerra in Tigray. Ci sarà inoltre anche una riforma ed un aggiornamento riguardo alla normativa sull’embargo di armi verso l’Eritrea e l’inserimento della stessa norma riguardante l’Etiopia.

Una evidente pressione degli Stati Uniti per il rispetto dei diritti umani, consentire l’ accesso dei convogli umanitari al Tigray e per cercare di far convergere su un tavolo di dialogo tutte le parti in causa incluse le truppe eritree e le milizie Amhara che stanno supportando l’esercito etiope.

Come gli Stati Uniti anche l’Unione Europea chiede fermezza (qui un approfondimento http://www.settimananews.it/informazione-internazionale/unione-europea-sulla-situazione-in-etiopia/ ) nel delinearsi di un quadro internazionale nel quale Il Premier Abiy ha preferito al supporto di Stati Uniti e UE quello di potenze emergenti, poco preoccupate dei diritti umani, come la Turchia, la Russia o la Somalia.

In questo quadro l’Italia non deve restare a guardare, nè limitarsi al solo tentativo di inviare convogli emergenziali. Ne va dell’unità e della stabilità dell’Etiopia, del Corno d’Africa e dell’intera regione.

Occorrono anche gesti politici significativi come, per esempio, sospendere quell’accordo di collaborazione nel settore della difesa da me firmato e reso esecutivo più tardi, quando già si cominciava ad intravedere la strada che stava prendendo il Paese.

Non basta favorire il dialogo, occorre una vera e propria iniziativa – composita – per la pace. Ce lo chiede anche la società etiope presente in Italia e ce lo obbliga la nostra umanità.

Quest’articolo è stato pubblicato su Formiche: https://formiche.net/2021/09/etiopia-guerra-crisi-italia/

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