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Attacco al 41bis, si fondono gli interessi di anarchici, antagonisti e mafia

Lo sciopero della fame dell’anarchico Alfredo Cospito per essere sottratto alla pena del 41 bis, ha assunto in questi giorni un peso incredibile sul governo, anche grazie agli di due esponenti di Fratelli d’Italia il sottosegretario alla Giustizia Delmastro delle Vedove ha rivelato infatti al deputato, vicepresidente del Copasir e coordinatore di FdI, Giovanni Donzelli, informazioni che quest’ultimo ha diffuso in aula ma che, come scritto dal Dipartimento Affari Penitenziari (DAP) in una email, sebbene non secretate, erano “Dati non divulgabili e non cedibili a terzi”.

Un errore di questo genere è inammissibile, in particolare, quando sia stato fatto non per fare chiarezza su una vicenda oscura, ma per attaccare un partito della minoranza, accusato di stare dalla parte della mafia soltanto perché alcuni parlamentari del Partito Democratico hanno fatto ciò che un parlamentare può e deve fare: andare a visitare un carcerato per conoscerne le condizioni di reclusione, soprattutto dopo più di 100 giorni di sciopero della fame.

Intanto gli anarchici accompagnano lo sciopero di Alfredo Cospito con azioni eversive che, per ora, non hanno avuto esito grave, ma avrebbero potuto averlo.

Cospito invece, dichiara ai mafiosi che lui non sta combattendo per se stesso, ma per tutti coloro che sono al 41bis e contro anche l’ergastolo ostativo.

Ma torniamo ai dati incautamente diffusi. L’onorevole Donzelli ha fornito dettagli sui colloqui tra Cospito e alcuni detenuti al 41bis per mafia, Francesco di Maio, boss dei Casalesi, Francesco Presti , killer della ‘Ndrangheta e Pietro Rampulla, mafioso di Cosa Nostra, che avrebbe dovuto far partire l’esplosivo della strage di Capaci al posto di Brusca. Dalle conversazioni si comprende che i mafiosi invitano Cospito a proseguire in una battaglia che è anche la loro: distruggere il regime del 41 bis.

 I dati diffusi dovevano arrivare in un plico consegnato a mano al Ministero come “𝑅𝑖𝑠𝑒𝑟𝑣𝑎𝑡𝑖” e cioè mostrabili ai soli destinatari, ma poiché c’era fretta di riceverli, per poterli mandare per email ordinaria, sono stati inviati con una nota del DAP che li classifica come “𝑎 𝑑𝑖𝑣𝑢𝑙𝑔𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑙𝑖𝑚𝑖𝑡𝑎𝑡𝑎”, ovvero che devono restare all’interno dell’amministrazione che li riceve.

Dunque è accertato: 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑖𝑛𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑣𝑎𝑛𝑜 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑑𝑎𝑡𝑒 𝑑𝑎𝑙 𝑠𝑜𝑡𝑡𝑜𝑠𝑒𝑔𝑟𝑒𝑡𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑛𝑒𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑎 𝐷𝑜𝑛𝑧𝑒𝑙𝑙𝑖, 𝑛𝑜𝑛𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑎 𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑎 𝑒, 𝑎𝑛𝑐𝑜𝑟𝑎 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑛𝑜, 𝑎𝑣𝑟𝑒𝑏𝑏𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑜𝑣𝑢𝑡𝑜 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑟𝑖𝑣𝑒𝑙𝑎𝑡𝑖 𝑖𝑛 𝑎𝑢𝑙𝑎.

Insomma, i due esponenti di Fratelli d’Italia non sono giustificati per avere fornito quelle informazioni e questo pretenderebbe da parte di Giorgia Meloni una decisione che li sollevasse dal loro incarico. D’altra parte, se è vero che lo stato non deve trattare con mafiosi, terroristi o criminali e, allo stesso modo, occorre la stessa durezza anche con chi nel proprio partito, sbagliando, rischia di compromettere la sicurezza del Paese.

La situazione è ora assai complicata perché il governo non può permettere che Alfredo Cospito muoia, ma anche costringerlo con la forza ad interrompere lo sciopero della fame non è semplice; Lo Stato, però, non può e non deve cedere alla violenza e alla minaccia della stessa.

Foto dal web

Il 41 bis è stato firmato per Cospito nel maggio del 2022 dal ministro Cartabia perchè si era evidenziato che dal carcere pubblicava articoli che incitavano all’eversione.

E’ un momento pericoloso perchè ci sono indicatori che si stiano cominciando a connettere il mondo dell’antagonismo e dell’anarchismo, anche per via del comune antifascismo, insieme ad alcune istanze della mafia.

Non è il momento per uno stato debole. Ma qual’è l’essenza della forza dello Stato?

Lo Stato è forte quando rispetta la propria Costituzione, le proprie Leggi e le finalità per le quali sono state concepite.

Dunque, è appropriato analizzare se il caso di Alfredo Cospito rendesse necessario l’applicazione del 41 bis ed è giusto chiedersi se il 41 bis sia ancora il regime carcerario giusto per quegli appartenenti all’Anonima sarda sequestri che vi sono sottoposti. Quella organizzazione non esiste più da decenni, dunque, a quale organizzazione di appartenenza potrebbero i suoi ex aderenti inviare indicazioni e comandi dal carcere?

Per questo, occorre ben distinguere chi debba essere sottoposto al 41 bis, e chi invece possa essere detenuto in condizioni migliori.

Questo con due obiettivi:

  • Mantenere il 41 bis come strumento prezioso per la lotta al terrorismo ed alla mafia
  • Rispettare l’art 27 della Costituzione per il quale “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione”.

Per quanto riguarda le condizioni di Alfredo Cospito, è possibile e opportuno salvarlo anche contro il suo desiderio attraverso l’alimentazione forzata. Esistono diverse sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) che, di fatto, obbligano gli Stati ad intervenire anche contra iure interno (per esempio nel caso Rapazz. contro Svizzera) qualora lo sciopero della fame sia finalizzato alla richiesta di liberazione da parte di un detenuto.

In una recente sentenza dell’8/12/2022 (Violazione art. 3 C.e.d.u. (sostanziale) – Trattamenti inumani e degradanti – Alimentazione forzata di un detenuto in sciopero della fame) la CEDU ha preliminarmente chiarito che “le autorità interne possono sottoporre ad alimentazione forzata un detenuto in sciopero della fame, ma solo qualora ciò risulti necessario in base alle condizioni di salute dello stesso, dovendo comunque le autorità statali fornire adeguata dimostrazione di tale necessità”.

Inoltre, la Corte europea ha affermato che “le autorità interne non possono rimanere inerti in casi di questo tipo, dovendo invece provvedere a verificare le condizioni psico-fisiche del soggetto, nonché ad individuare le ragioni che hanno mosso il detenuto a scioperare“.

Intanto, al 107° giorno di sciopero della fame, il detenuto ha espresso la sua volontà di non essere alimentato artificialmente se le sue condizioni dovessero peggiorare fino a ridurlo ad uno stato di incoscienza.

Alfredo Cospito però deve essere salvato, in primo luogo come uomo, in secondo luogo perchè nessuno dovrebbe morire di carcere e, non ultimo, per non fare di lui un martire, cosa che, in questo momento, sarebbe assolutamente inopportuna.

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Deterrenza o Escalation, qual è il limite?

Nella guerra tra Russia e Ucraina sembra che il punto di non ritorno sia stato superato

Deterrenza ed escalation

Deterrenza ed Escalation, qual è il limite tra l’una e l’altra? Difficile dirlo, difficile prevedere il momento in cui un conflitto possa passare da convenzionale a strategico. Ma una cosa è certa, i toni delle minacce nella guerra Russia Ucraina stanno crescendo, pericolosamente, ogni giorno di più e il mondo si sta mettendo su una via senza ritorno.

Da: https://eugensystems.com/wargame-european-escalation/

Da qualche settimana le forze ucraine riguadagnano territori. Hanno riconquistato Lyman, nel Donetsk, una delle regioni annesse da Putin, procedendo verso est e verso sud (Kherson). I russi rispondono con missili e droni esplosivi.

Tutti felici per questo? Certo, siamo soddisfatti del fatto che l’Ucraina riesca a reagire e a difendere i propri territori, ne ha diritto, ma, attenzione, mettere all’angolo Putin significa avvicinarsi sempre più alla possibilità che decida di utilizzare l’arma nucleare.

Anche un attacco diretto dall’Ucraina verso la Russia potrebbe causare escalation. E se quello del 14 ottobre a Belgorod – territorio russo sul confine ucraino – è stato definito un attentato terroristico fatto da due cittadini della ex Unione Sovietica, difficilmente potrebbe non essere definito come un attacco alla Russia quello che fosse svolto con le armi a lunga gittata, che USA e alcuni paesi europei vogliono ancora inviare all’Ucraina.

Qualcuno dice che evidenziare il pericolo nucleare significhi cadere nel gioco di Putin, qualcun altro sostiene che Putin in nessun caso si fermerà e che il suo obiettivo sia rilanciare un nuovo sogno imperiale. Dicono che voglia scrivere il proprio nome nella storia e che voglia la terza guerra mondiale.

Vero o no che sia,

Di fronte a pericoli così grandi, anche se poco probabili, è necessario che le nazioni occidentali facciano una sola cosa: favorire la riapertura di dialogo e trattative tra Russia e Ucraina.

L’escalation verbale

Lo ha detto anche il direttore della CIA Bill Burns. “Putin adesso si sente con le spalle al muro e può essere piuttosto pericoloso e sconsiderato”.

E’ ora di capire che non esiste una possibilità di vittoria militare di questa guerra.

Occorre ricercare la pace. E’ già troppo tardi forse, ma bisogna farlo. Ma torniamo ai fatti.

In seguito alla riconquista di Lyman, il leader ceceno Ramzan Kadirov, ha inviato un messaggio su telegram invitando Mosca a prendere in considerazione l’utilizzo di armi nucleari a bassa intensità per evitare sconfitte future. Non è stato il solo a parlare di arma nucleare, lo hanno fatto anche Dmitry Medvedev, ex presidente, e lo stesso Putin che ha dichiarato che non stava bluffando quando ha detto di essere disponibile ad usare tutti i mezzi disponibili per difendere l’integrità territoriale della Russia, incluse le nuove regioni.

Putin e Medvided (da: https://jyllands-posten.dk/international/article4284251.ece)

D’altra parte, lo aveva affermato già all’inizio del conflitto “Chiunque cerchi di ostacolarci o di creare minacce per il nostro paese e il suo popolo, deve sapere che la risposta russa sarà immediata e porterà a conseguenze che non avete mai visto nella storia”.

Zelensky, da parte sua, ha minacciato il popolo russo che moriranno tutti se non lasceranno Putin, mentre in una intervista Stoltenberg, Segretario Generale della Nato, ha dichiarato che “Qualsiasi uso di armi nucleari comporterà conseguenze serie per la Russia“, e che  “qualsiasi attacco deliberato contro infrastrutture critiche della Nato riceverà una risposta ferma e compatta”.

Zelensky e Stoltemberg (da : https://www.editorialedomani.it/politica/mondo/stoltenberg-zelensky-crimea-negoziati-nato-guerra-ucraina-russia-hjrgf2wx)

Infine, il Parlamento Europeo, in una relazione sull’escalation russa in Ucraina, ha chiesto di preparare una risposta rapida in caso di attacco nucleare russo e, ciliegina sulla torta, il Presidente Biden ha dichiarato che Putin non scherza quando parla di uso potenziale dell’arma nucleare tattica, o di quella biologica o chimica, considerato il basso livello del suo esercito.

La dottrina nucleare di Putin

D’altra parte basta leggere la dottrina nucleare di Putin (Decreto 355 del 2 giugno 2020 “fondamenti della politica statale della Federazione russa nell’area della deterrenza nucleare”) per capire che esiste una regola per il “launch on warning” per la quale Mosca può lanciare un ordigno atomico al solo sospetto di un attacco nucleare, anche in assenza di una conferma.

Gli altri casi di utilizzo sono: l’uso di armi nucleari o altre armi di distruzione di massa da parte di un avversario contro il territorio russo e/o i suoi alleati; azioni intraprese contro il governo russo o le installazioni militari che possano interrompere le capacità di ritorsione militare del paese (includono quindi anche un attacco cyber) o un’aggressione con armi convenzionali che minacci però l’esistenza stessa dello Stato.

Immagine tratta da: https://ilmanifesto.it/la-deterrenza-nucleare-un-genocidio-programmato-da-disinnescare

Il decreto 355 chiarisce anche che la politica nucleare russa è di natura difensiva.

Le forze nucleari servono cioè solo in casi di necessità estrema ad esercitare la deterrenza, per scoraggiare un eventuale attacco nemico contro la Federazione Russa e i suoi alleati, per garantire la sovranità e l’integrità territoriale dello Stato, per prevenire una possibile escalation di azioni militari e/o a far cessare un eventuale conflitto ottenendo condizioni accettabili per la Russia.

Questo ultimo obiettivo soprattutto, richiama la responsabilità di ognuno dei membri dei Governi e delle assemblee parlamentari dei paesi che oggi stanno continuando a votare per inviare le armi all’Ucraina piuttosto che varare vere iniziative per la pace.

Le prospettive di pace assenti

Non si vedono al momento prospettive di pace e mentre in Russia c’è la mobilitazione parziale di 300.000 riservisti, il Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell’Ucraina il 30 settembre ha approvato un decreto, ratificato poi da Zelensky, in cui si afferma che è impossibile negoziare con Putin ed occorre rafforzare la capacità di difesa dell’Ucraina mentre il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha affermato che “raggiungere la pace in Ucraina è impossibile senza soddisfare le richieste della Russia”.

Quello a cui stiamo assistendo è un vero e proprio scontro psicologico che si svolge parallelamente allo scontro militare, in cui le volontà dei diversi attori in gioco (gli stati), attraverso la la minaccia nucleare, cercano di convincere l’altra parte che è inutile andare avanti con il conflitto.

Si utilizza cioè la deterrenza nucleare.

Rispetto agli anni della guerra “fredda”, nella guerra “calda” Russia-Ucraina la potenza atomica è solo una, la Russia, mentre l’Ucraina fa affidamento su un’organizzazione nella quale è tornata a chiedere di entrare con procedura accelerata, la Nato, e sulle potenze nucleari che ne sostengono lo sforzo bellico dall’inizio del conflitto.

Siamo tornati nell’epoca del rischio nucleare o non ne siamo mai usciti? La verità è che le armi nucleari sono sempre state lì, anche negli anni che hanno seguito la fine dell’ex Unione Sovietica, ma nessuno in questi anni ha utilizzato la minaccia del loro uso potenziale per piegare la volontà dell’avversario.

Quanto siamo in pericolo? Le minacce sono vere o soltanto uno strumento psicologico?

Dobbiamo andare a ripescare i principi della strategia nucleare.

Di fronte al pericolo che uno stato usi l’arma nucleare si possono fare quattro cose: distruggere preventivamente la capacità dell’avversario, intercettare le armi atomiche, proteggerci fisicamente dagli effetti delle esplosioni o minacciare la rappresaglia.

La prima azione al momento non è considerabile, la seconda siamo obbligati a considerarla ma potremmo avere due elementi di debolezza tecnologici, il primo è che la Russia potrebbe usare dei missili ipersonici (che noi non abbiamo) impossibili da fermare; il secondo  è che attraverso un attacco cyber a noi non evidenziatosi, il nemico potrebbe essersi impossessato di informazioni strategiche per la difesa europea.

Anche la terza azione possibile, quella di proteggerci dagli effetti delle esplosioni, è impossibile da realizzare per tutta la popolazione considerato l’alto numero di bunker di cui ci sarebbe bisogno.  Però, un Paese che si preoccupi dei suoi cittadini dovrebbe attrezzarsi per proteggerli e dovrebbe quanto meno pianificare anche per il peggio (mentre, intanto, dovrebbe fare in modo che il peggio non arrivi).

Il Bunker antiatomico del Governo Italiano, Monte Soratte. Leggete la storia qui: https://www.startmag.it/mondo/quando-mussolini-saragat-moro-e-andreotti-giocavano-alla-guerra-nucleare-globale/

Ci resta l’ultima opzione, minacciare la rappresaglia, ed è quello a cui stiamo assistendo in questi giorni. L’obiettivo è quello di ricordare a Putin (perché già lo sa) che se lancia il primo colpo, è la fine anche per lui.

Durante la guerra fredda nella Nato vigeva il principio della escalation deliberata, che sarebbe dovuta iniziare con un uso limitato di un arma nucleare tattica, come modo per fermare l’invasione russa. Questo era motivato dal fatto che l’occidente riteneva che le sue forze convenzionali fossero inferiori a quelle del Patto di Varsavia. Finita l’Unione Sovietica, però, ora era la Russia che sapeva di essere tecnologicamente inferiore e dovette cambiare strategia. La dottrina attribuita alla Russia, “escalate to de-escalate”, corrisponde a quella della Nato durante la guerra fredda.

Il significato di “escalate to de-escalate”, frase che non esiste citata effettivamente con queste parole nella dottrina russa, è che sia possibile avviare attacchi nucleari limitati in un conflitto locale/ regionale, fondati sulla convinzione che una tale escalation, da convenzionale a conflitto nucleare, potrebbe sconcertare l’avversario e convincerlo alla pace.

Altri, infine, sostengono che la tecnica russa sia quella dell’escalation control il cui fine è quello di mantenere l’escalation sempre al suo livello minimo accettabile. Effettivamente la guerra in Ucraina sembrerebbe confermare questa tendenza della Russia ad usare gli strumenti che le consentono di tenere le redini del conflitto per poter controllarne la soglia oltre la quale sarebbe incontrollabile. Ma chi sa dire esattamente quando le “redini” possano sfuggire?

Nella consapevolezza che la Russia voglia impaurire e spaccare il fronte nemico, chi può affermare al 100% che Putin non deciderà di andare oltre?

“E allora? che facciamo? Cediamo di fronte alle minacce?” NO, certo. Ma a questo punto si può rispondere: “e allora, se succede quello che non doveva succedere, che facciamo?”

Arrivare a un cessate il fuoco per poi arrivare alla pace

C’è una sola strada ed è quella di arrivare subito a una tregua einiziare un percorso di pace.

Non è vero che sia necessario per forza cedere a Putin.

Ci si può fermare, creare aree cuscinetto, affidare l’area contesa alle Nazioni Unite o a una missione di pace europea, fare, come ha proposto Elon Musk, un referendum vero (non la farsa russa) affidato all’ONU, tornare a ragionare sugli accordi di Minsk per renderli, questa volta, veramente effettivi, trovare degli assetti costituzionali che tutelino e garantiscano i diritti delle minoranze che convivono nella stessa nazione.

Sono tante le possibilità per far ripartire il dialogo.

Non è tutto perso e le trattative non devono significare sconfitta totale per l’Ucraina o per la Russia.

La pace, invece, è la vittoria di tutti.

Il ruolo europeo per la pace

Basta con la retorica e la narrativa per cui chi chiede pace è qualcuno che vuole far vincere la Russia.

Non va neanche specificato da che parte sia la colpa: è chiaro a tutti. Ma la PACE ha un valore a prescindere e che sia l’Europa la protagonista di questo momento, quell’Europa, non unita veramente, che sta rischiando di morire sotto il peso della proprie decisioni “unitarie” e che ha lasciato alla Turchia, nazione non certo “democratica”, il ruolo di promuovere la pace, mentre intanto continua ad espandere la sua influenza e riceve la proposta dalla Russia per diventare un hub del gas.

Serviva l’Ucraina per accorgersi che l’Europa è un progetto ancora non ultimato? Bene, raccogliamo le sfide: le crisi pandemica e la guerra ci hanno dimostrata che solo una dimensione europea forte ci consente di vincere le sfide globali.

Occorre andare con convinzione verso un’unione energetica europea, occorre far partire una politica vera di difesa europea, occorre, soprattutto, una vera politica estera europea, altrimenti a quale testa metteremo in mano la difesa e la tutela degli interessi europei?

Occorre riprendere in mano il sogno degli Stati Uniti d’Europa.

Genova, 26 febbraio 2022. Manifestazione per la pace in Ucraina
Autore: Lilia Alpa
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https://www.peacelink.it/europace/a/49048.html

Andiamo avanti. Quando tutto sembra perduto, quando lungo la strada si offusca l’orizzonte e ci si allontana dal percorso tracciato, bisogna fermarsi, rileggere i valori fondanti di questo percorso unitario e ripartire quindi dalle proprie radici.

L’Europa Unita a questo punto sembra essere l’unico fattore di stabilizzazione internazionale possibile. L’unico faro che possa condurre ad un nuovo ordine mondiale basato su democrazia, confronto e pace. Riprendiamo in mano il sogno!

“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.”

Dichiarazione Schuman maggio 1950
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C’è troppo poco gas in Europa

Poco Gas, il freddo che arriva e le decisioni difficili

Qualche giorno fa la Russia ha chiuso i rubinetti di Nord Stream per fare pressioni contro le sanzioni e l’Europa tutta si prepara al freddo inverno senza sapere bene come sostituire il gas russo. Intanto i prezzi sono ricominciati a salire e le compagnie petrolifere guadagnano bene.

Lo stop al gas da parte russa probabilmente non è solo un effetto delle sanzioni, ma anche una risposta alla proposta del tetto al prezzo del gas. Lo scontro è altissimo. Il futuro energetico non è mai stato così incerto.

L’import di gas naturale dell’UE

Prima della guerra l’Europa importava il 40-45% del gas dalla Russia. Neanche i 20 paesi dell’OPEC tutti insieme raggiungevano questa percentuale (erano al 33%). Subito dopo veniva la Norvegia (con circa 20%), l’Algeria con il 10% e vari fornitori minori (Libia, Azerbaijan, Qatar). Nel tempo l’UE aveva anche cominciato ad importare GNL – Gas Naturale Liquefatto – tra il 5 e il 10% del mix energetico .

Dopo la guerra il rapporto tra GNL e gas russo importato si è ribaltato: la quota di export di gas naturale della Russia è scesa al 15 % (-30 % di quota di mercato) e l’Europa compensa quasi totalmente con il GLN che arriva soprattutto dagli Stati Uniti, con i quali l’UE ha raggiunto un accordo per la fornitura di 15 miliardi di metri cubi di GNL nel 2022.

Per il resto nell’UE non è cambiato molto. Infatti l’Algeria sta fornendo all’Italia una maggiore quantità di gas avendolo però sottratto alla Spagna per motivi politici; la Spagna invece sta acquistando una maggiore qualità di GNL.

L’accordo fatto con l’Algeria stabilisce che entro il 2024 “l’Italia riceverà dall’Algeria circa 9 miliardi di metri cubi di gas in più all’anno, rispetto ai 22,4 miliardi di metri cubi importati nel 2021 (21,2 miliardi di metri cubi attraverso il gasdotto Transmed che arriva a Mazara del Vallo e 1,2 miliardi di metri cubi tramite navi metaniere)”.

da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

L’import di gas naturale dell’Italia

In Italia la dipendenza dal gas della Russia era circa il 45-50%. Come per l’Europa, al momento questo valore è sceso un po’ sopra al 15% mentre è aumentato l’export dall’Algeria che è diventata il primo fornitore.

Inoltre è entrato in funzione il Trans Adriatic Pipeline (TAP), parte del Corridoio Sud del Gas (Southern Gas Corridor), che trasporta il gas naturale in Europa dal giacimento di Shah Deniz in Azerbaijan.

Il Tap è entrato in funzione lo scorso anno e fornisce circa il 15% del consumo italiano.

Per quanto riguarda i rigassificatori, e in generale i progetti energetici, in Italia sono sempre “variabili” trovando molta opposizione da parte della popolazione nel momento in cui devono essere collocati sul territorio. Gli impianti funzionanti sono tre,  La Spezia, Livorno e Rovigo. Ne sono poi previsti due di terra e due su nave. Quelli di terra sono Porto Empedocle (Agrigento, Sicilia), per il completamento del quale i finanziamenti sono stati sbloccati ad aprile 2022 e Gioia Tauro, e due galleggianti, con due navi da posizionarsi a Ravenna e Piombino, dove c’è grande opposizione perché la nave dovrebbe essere posizionata in porto.

Si discute inoltre di un ulteriore rigassificatore a Oristano  (Sardegna), e di ulteriori due navi rigassificatrici a Portovesme (Carbonia-Iglesias e Porto Torres (Sassari).

Da: https://luce-gas.it/attualita/italia-indipendenza-gas-russo-entro-2024

Nonostante l’Italia sia riuscita a limitare la sua dipendenza dal gas russo, se la Russia interrompesse totalmente le forniture, il Paese sarebbe in grandissima difficoltà. Infatti più della  metà dell’energia prodotta in Italia viene dal gas (contro il 25% in Germania) a causa di una transizione energetica più lenta che rende il nostro mercato dell’energia molto più sensibile alle variazioni del prezzo del gas. 

Da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

Perchè i prezzi sono impazziti

Il costo dell’energia è passato da 20 euro a megawattore a un picco di quasi 350. Un aumento vertiginoso dovuto soprattutto all’ eccesso di domanda anche se esiste una componente speculatoria.

Infatti il gas russo è più del 10% del gas mondiale. Sottrarlo dal mercato non può non far impennare i prezzi. Si pensi che la crisi energetica del 1973 avvenne in seguito alla decisione dell’Opec di ridurre la produzione di greggio del 7%. In Italia questo causò il varo da parte del governo Rumor del decreto “Austerity” (22 novembre 1973), che comprendeva una serie di provvedimenti per risparmiare dell’energia, come il blocco alla circolazione delle auto di domenica, l’abbassamento della temperatura degli impianti di riscaldamento, la chiusura anticipata di negozi e uffici.

Oggi l’Europa riesce ad avere ancora un po’ di gas perché sta pagando di più il GNL e le navi che lo contengono vengono riorientate verso di noi, ma i paesi più poveri restano senza e vanno in crisi energetica: lo Sri Lanka è quasi fallito, il Pakistan non riesce a generare elettricità e il Bangladesh sarà il prossimo a trovarsi in serissime difficolta.

Cosa vuol dire imporre il tetto al prezzo del gas

Quando si parla di tetto al prezzo del gas si possono intendere due provvedimenti di tipo diverso che dovrebbero servire, da una parte, ad abbassare il prezzo dell’energia per proteggere soprattutto famiglie a basso reddito e imprese, dall’altra a ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas dalla Russia e amplificare l’effetto delle sanzioni ad essa applicate. Entrambi i provvedimenti hanno pregi e difetti.

La prima proposta è quella di imporre un prezzo massimo all’acquisto del gas russo, l’altra è quella di applicare un prezzo massimo all’energia generata con il gas. 

Imporre un prezzo massimo al gas russo

Al momento più dell’’80% dei contratti in essere con la Russia è indicizzato alla borsa di Amsterdam, il TTF (Title Transfer Facility), un punto di scambio virtuale dove il gas può essere venduto e acquistato al di fuori dei contratti a lungo termine, sia per una consegna immediata. (Spot), sia per una consegna futura a prezzo fissato al momento dell’acquisto (Forward o, anche, Future).

Il 68% degli acquisti sul TTF nel 2021 ha riguardato contratti Future, e questo indica che il quel mercato le operazioni puramente finanziarie sono molte di più di quelle finalizzate ad acquistare fisicamente il gas. È sul TTF che si fa il prezzo del gas europeo ed è anche grazie a questo meccanismo speculativo che i prezzi vengono spinti verso l’alto.

Gasprom vendendo al prezzo formatosi alla borsa di Amsterdam sta guadagnando proprio dalla riduzione delle sue forniture: le sue entrate sono triplicate a fronte di un meno 75% di gas. (Vd. grafico successivo).

Da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

A queste condizioni, alla Russia non conviene smettere di fornirci totalmente il gas, perchè continua a guadagnare.

Come detto prima per l’Europa sarebbe conveniente fissare un price cap (tetto massimo) alla Russia per la fornitura dei suoi volumi di gas, ma a questo punto la Russia perderebbe i suoi guadagni e, quindi, potrebbe essere incentivata a chiudere totalmente le forniture.

Quest’anno, ai prezzi attuali, riuscirebbe infatti ad avere solo dal gas introiti per 100 mld che, con un tetto, scenderebbero a meno di 20 mld euro.

Dunque imporre il tetto spingerebbe la Russia a interrompere le forniture e in questo momento il mercato non ha quel 15% di gas che mancherebbe se Putin chiudesse i rubinetti. Servirebbero almeno due anni per sostituirlo e, intanto, il prezzo di tutto il resto del gas lieviterebbe probabilmente più in alto di quanto sia ora.

Imporre un prezzo massimo all’energia generata con il gas

Nel mercato dell’energia elettrica il prezzo dipende dal mix di energia generata e, in particolare, dal prezzo del gas che spesso è l’ultimo generatore perché facile da usare e sempre disponibile. Per questo il prezzo del gas determina il prezzo marginale.

Quindi se il gas costa 250 Ero mW/h inciderà anche sul prezzo delle rinnovabili perché è grazie al gas che possono essere usate sempre (le rinnovabili infatti sono incostanti e si possono utilizzare solo se integrate con il gas). Alla fine costeranno 250 euro anche se per produrle sono stato necessari 5 euro. Quindi anche il mercato delle rinnovabili viene drogato.

Spagna e il Portogallo hanno sperimentato invece dal giugno scorso l’imposizione di un prezzo amministrato all’energia generata con il gas sul mercato interno, pagandolo circa 40€ a MW/h. Dopo i primi sei mesi il prezzo aumenterà di 5€ ogni mese, arrivando al massimo a 70 €/MWh. Questo permetterà un risparmio in bolletta pari al 38% in meno rispetto al secondo trimestre 2022.

La misura non intaccherà gli introiti per la Russia, perché i produttori di energia continueranno ad acquistare il gas nel mercato internazionale allo stesso prezzo. Sarà poi lo stato a compensare la differenza di costo tra questo tetto e i prezzi TTF (la borsa di Amsterdam). Il costo per i due paesi per un anno è di 8,4 miliardi di euro. In pratica, si ricompensano i fornitori con soldi pubblici.

Il sistema apparentemente non sta funzionando bene perché lo stato recupera i soldi spesi dalle “compensazioni” sulle bollette e quindi per i cittadini è cambiato poco, e dal “reddito di congestione” (cioè i profitti della vendita di gas prodotto in Spagna alla Francia, che sta beneficiando indirettamente della misura acquistando elettricità più a buon mercato dal vicino iberico). Infatti le importazioni di energia prodotta in Spagna dalla Francia sono aumentate e questo potrebbe costare alla Spagna circa 1,2 miliardi di euro. 

Ciò nonostante, da quando è in vigore il tetto, i prezzi finali per i consumatori spagnoli sono stati regolarmente più bassi di quelli che avrebbero pagato senza il tetto. (Figura successiva).

Da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

Fatti i dovuti calcoli il sistema del tetto al mercato interno del gas potrebbe funzionare anche in Italia, anche considerando le diversità nel mix energetico rispetto alla Spagna. Sarebbe opportuno però valutare un recupero del costo pagato dallo stato per compensare i produttori interni, anche attraverso la tassazione degli extra-profitti come contributo di solidarietà a carico dei produttori di energia da combustibili fossili.

Le proposte della Commissione Europea

Il 14 settembre, durante il discorso annuale sullo Stato dell’Unione Europea al Parlamento Europeo in riunione a Strasburgo, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha proposto di tassare il 33% degli extra-profitti delle imprese produttrici di energia fossile a partire dal 2022, con introiti previsti di 25 miliardi di euro in più all’anno. I governi nazionali dovrebbero invece fissare un tetto massimo di 180 euro per megawattora alle entrate generate dai fornitori di energia nucleare e rinnovabile. Questo, a sua volta, genererebbe un profitto in eccesso di circa 117 miliardi di euro all’anno che dovrebbe essere incanalato in sussidi per le famiglie e le imprese in difficoltà che devono far fronte all’impennata delle bollette energetiche. 

La Commissione Europea prevede inoltre che entro l’inizio del 2023 dovrebbe essere varata la riforma del mercato dell’elettricità nella quale è previsto il disaccoppiamento del prezzo dell’energia elettrica proveniente dal gas naturale da quella di altre energie. Collegare il prezzo dell’energia elettrica al gas aveva senso 20 anni fa, quando le rinnovabili costavano molto, ma oggi è il gas ad essere più costoso e a spingere in alto anche i prezzi delle rinnovabili.  

La riforma del mercato elettrico sarà molto importante per tenere basse le bollette, ma sarà anche necessario incidere attraverso di essa sulle abitudini di consumo della popolazione incentivando il risparmio energetico affinche non sia annullato dall’abbassarsi dei prezzi.

Come passeremo l’inverno

Basterà il gas per l’inverno? Se non riduciamo i nostri consumi non basterà. Per ora li abbiamo già ridotti del 5% e non basterebbe comunque. Dobbiamo arrivare ad abbassarli di circa il 10% come dal piano del governo (Piano Nazionale di Contenimento dei consumi di gas naturale).

Se riusciremo a farlo, immaginando che la Russia possa chiudere totalmente le forniture di gas e che quindi la Germania possa avere molto più bisogno di gas dalla Norvegia che glielo venderebbe in cambio di un prezzo più alto di quello pagato dall’Italia, arriveremmo a zero scorte strategiche superando l’inverno.

In teoria, quindi l’Italia potrebbe superare l’inverno anche senza il gas russo e Norvegese. Ma per l’anno successivo non avremmo scorte.

Occorre una soluzione composita che preveda sia investimenti pubblici come la velocizzazione dello sviluppo delle rinnovabili (parchi eolici marini, energia dal moto ondoso, energia idroelettrica con costruzione di nuove mini dighe, geotermica, solar roads, power roads), il raddoppio del TAP, rigassificatori mobili o la riapertura, anche solo temporanea, dei nostri giacimenti di gas, sia investimenti privati, per esempio, per la realizzazione di comunità energetiche a livello di quartiere o condominio.

Occorre portare avanti con forza la scelta di fare delle rinnovabili una componente crescente e prevalente del mix energetico, da integrare fino a che è necessario, con investimenti meno green, anche temporanei. E intanto, spingere sulla ricerca per andare avanti sul progetto di decarbonizazione.

Dal punto di vista geopolitico, la differenziazione delle fonti di approvvigionamento è un obiettivo da perseguire sempre.

Ritengo che varrebbe la pena pensare a una unione tra i paesi del mediterraneo (europei, della sponda Nord dell’Africa e balcanici) che metta al centro della collaborazione la ricerca di un accordo sulla gestione delle risorse energetiche, ambientali e dell’acqua, risorse per le quali si svolgeranno i prossimi conflitti , se non si interviene.

Penso a una Comunità Mediterranea per l’Energia, l’Aqua e l’Ambiente (sul modello della CECA) all’interno della quale stabilire meccanismi regolatori e prevenzione dei conflitti comuni.

Immagine di copertina: Carta di Laura Canali, Limesonline https://www.limesonline.com/carta-dipendenza-europa-gas-russia/128427

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#ConflittoScacciaConflitto, l’Afghanistan dimenticato e le crisi che si sovrappongono

#ConflittoScacciaConflitto così, dopo nove mesi dalla fine della ventennale presenza militare in #Afghanistan, l’indignazione e la preoccupazione che ci ha tenuti davanti alle TV ad agosto, mentre assistevamo alla scena di centinaia di migliaia di persone ammassate intorno all’aeroporto di Kabul, sembra essere già dimenticata.

Eravamo esterrefatti nel vedere quegli uomini che sembravano manichini che cadevano dalle ali dell’aereo a cui si erano appesi, terrorizzati dal ritorno dei talebani con cui noi, l’occidente democratico, avevamo fatto dei patti nella ipocrita illusione che li avrebbero rispettati.

Eppure l’Afghanistan è lì con tutte le conseguenze del nostro lungo passaggio e del nostro essere andati via velocemente, fuggiti di fronte a una veloce avanzata di coloro che avevamo combattuto, mentre fingevamo di credere che avrebbero mantenuto parte di quelli che noi abbiamo ritenuto i successi della nostra presenza, soprattutto il progresso della società afghana, l’aumento della scolarizzazione per tutti e una maggiore libertà per le donne.

Oggi il ricordo di quei giorni di agosto sembra già quasi completamente cancellato dall’orrore di un’altra guerra e da un’altra catastrofe umanitaria.

Eppure qualcuno in Italia aveva detto che avremmo dialogato con i talebani buoni. 

Da qualche giorno i talebani hanno emesso un decreto che impone alle donne l’uso dell’ hijab e punisce il marito, i figli o il fratello se non lo indossano. Potrebbero infatti essere portati in tribunale e anche incarcerati per tre giorni.

La decisione viene dal ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio che è titolare anche dei controlli che esegue attraverso 7000 controllori.

“Le donne che non sono troppo anziane o troppo giovani devono coprire il volto a eccezione degli occhi, in rispetto delle direttive della Sharia, in modo da evitare provocazioni quando incontrano uomini che non sono parenti stretti”.

Il decreto dice anche che le donne che non hanno importanti mansioni da svolgere farebbero meglio a “restare a casa”.

Pare sia stato un compromesso tra talebani più moderati e radicali, tutto giocato sulle donne perché dovrebbe consentire di riaprire le scuole superiori femminili, ancora chiuse nonostante la promessa di riaprirle il 23 marzo. 

Si veda qui il video dell’annuncio: https://video.larena.it/video-server/media/video/215966.mp4

I talebani stanno soffocando di nuovo la vita delle donne che giorno dopo giorno perdono i diritti che faticosamente erano stati conquistati.

Intanto oggi il 95% della popolazione afghana, di cui 10 milioni di bambini, è alla fame con il costo della vita e i prezzi del cibo raddoppiati mentre i redditi sono scesi di un terzo e la disoccupazione è esplosa.

Tra l’altro il maggior esportatore di grano in Afghanistan è l’Ucraina e quindi la situazione può solo peggiorare.

Anche la situazione della sicurezza nel paese è al limite. Durante il Ramadan ci sono stati molti attacchi dello Stato Islamico del Korasan contro gli Hazara, gli sciiti, ed è prevedibile che con l’ondata di fame diffusa, l’Isis troverà nuovi adepti, mentre lo scontento per i talebani cresce anche tra chi all’inizio ha sperato che portassero pace nel paese. 

Mentre i talebani faticano a controllare il territorio l’IS-KP cresce e l’Afghanistan torna ad essere il centro del jihadismo.

Il Paese oggi è completamente isolato, nessun Paese ha ancora riconosciuto il governo dei talebani ma alcuni paesi stati come il Pakistan, la Russia, il Turkmenistan e l’Iran hanno ricevuto i loro diplomatici.

In Italia intanto, dopo la prima missione di evacuazione da Kabul degli Afghani che avevano lavorato con noi e ora rischiano la vita, si stava dando attuazione all’evacuazione di altri ex collaboratori e delle loro famiglie.

Ma è arrivata un’altra crisi umanitaria ed il nostro sistema di accoglienza è messo a dura prova.

E così oggi ci sono centinaia di persone che hanno ricevuto da noi una chiamata a recarsi in Pakistan o in Iran per poter poi essere accolti in Italia, che sono al terzo rinnovo del visto, hanno ormai finito i soldi per soggiornare nei due paesi e non sanno cosa devono fare perchè dall’Italia nessuno risponde. Una vergogna!

La guerra in Ucraina ci dimostra ancora una volta che il mondo non sta diventando più sicuro e le conseguenze che questa guerra porterà non solo nel Paese ma in Europa stessa e in tutti i Paesi dove ci sarà la crisi alimentare creeranno ulteriori pressioni sulle nostre coste.

E’ assolutamente necessario una revisione della normativa italiana ed europea sull’immigrazione e sul nostro sistema di accoglienza dei profughi e richiedenti asilo. perché fare annunci buonisti per poi disinteressarsi delle persone è ancora peggio del non fare niente, sopratutto dopo essere stati protagonisti noi stessi delle cause delle crisi umanitarie.