Nella guerra tra Russia e Ucraina sembra che il punto di non ritorno sia stato superato
Deterrenza ed escalation
Deterrenza ed Escalation, qual è il limite tra l’una e l’altra? Difficile dirlo, difficile prevedere il momento in cui un conflitto possa passare da convenzionale a strategico. Ma una cosa è certa, i toni delle minacce nella guerra Russia Ucraina stanno crescendo, pericolosamente, ogni giorno di più e il mondo si sta mettendo su una via senza ritorno.

Da qualche settimana le forze ucraine riguadagnano territori. Hanno riconquistato Lyman, nel Donetsk, una delle regioni annesse da Putin, procedendo verso est e verso sud (Kherson). I russi rispondono con missili e droni esplosivi.
Tutti felici per questo? Certo, siamo soddisfatti del fatto che l’Ucraina riesca a reagire e a difendere i propri territori, ne ha diritto, ma, attenzione, mettere all’angolo Putin significa avvicinarsi sempre più alla possibilità che decida di utilizzare l’arma nucleare.
Anche un attacco diretto dall’Ucraina verso la Russia potrebbe causare escalation. E se quello del 14 ottobre a Belgorod – territorio russo sul confine ucraino – è stato definito un attentato terroristico fatto da due cittadini della ex Unione Sovietica, difficilmente potrebbe non essere definito come un attacco alla Russia quello che fosse svolto con le armi a lunga gittata, che USA e alcuni paesi europei vogliono ancora inviare all’Ucraina.
Qualcuno dice che evidenziare il pericolo nucleare significhi cadere nel gioco di Putin, qualcun altro sostiene che Putin in nessun caso si fermerà e che il suo obiettivo sia rilanciare un nuovo sogno imperiale. Dicono che voglia scrivere il proprio nome nella storia e che voglia la terza guerra mondiale.
Vero o no che sia,
Di fronte a pericoli così grandi, anche se poco probabili, è necessario che le nazioni occidentali facciano una sola cosa: favorire la riapertura di dialogo e trattative tra Russia e Ucraina.
L’escalation verbale
Lo ha detto anche il direttore della CIA Bill Burns. “Putin adesso si sente con le spalle al muro e può essere piuttosto pericoloso e sconsiderato”.
E’ ora di capire che non esiste una possibilità di vittoria militare di questa guerra.
Occorre ricercare la pace. E’ già troppo tardi forse, ma bisogna farlo. Ma torniamo ai fatti.
In seguito alla riconquista di Lyman, il leader ceceno Ramzan Kadirov, ha inviato un messaggio su telegram invitando Mosca a prendere in considerazione l’utilizzo di armi nucleari a bassa intensità per evitare sconfitte future. Non è stato il solo a parlare di arma nucleare, lo hanno fatto anche Dmitry Medvedev, ex presidente, e lo stesso Putin che ha dichiarato che non stava bluffando quando ha detto di essere disponibile ad usare tutti i mezzi disponibili per difendere l’integrità territoriale della Russia, incluse le nuove regioni.

D’altra parte, lo aveva affermato già all’inizio del conflitto “Chiunque cerchi di ostacolarci o di creare minacce per il nostro paese e il suo popolo, deve sapere che la risposta russa sarà immediata e porterà a conseguenze che non avete mai visto nella storia”.
Zelensky, da parte sua, ha minacciato il popolo russo che moriranno tutti se non lasceranno Putin, mentre in una intervista Stoltenberg, Segretario Generale della Nato, ha dichiarato che “Qualsiasi uso di armi nucleari comporterà conseguenze serie per la Russia“, e che “qualsiasi attacco deliberato contro infrastrutture critiche della Nato riceverà una risposta ferma e compatta”.

Infine, il Parlamento Europeo, in una relazione sull’escalation russa in Ucraina, ha chiesto di preparare una risposta rapida in caso di attacco nucleare russo e, ciliegina sulla torta, il Presidente Biden ha dichiarato che Putin non scherza quando parla di uso potenziale dell’arma nucleare tattica, o di quella biologica o chimica, considerato il basso livello del suo esercito.
La dottrina nucleare di Putin
D’altra parte basta leggere la dottrina nucleare di Putin (Decreto 355 del 2 giugno 2020 “fondamenti della politica statale della Federazione russa nell’area della deterrenza nucleare”) per capire che esiste una regola per il “launch on warning” per la quale Mosca può lanciare un ordigno atomico al solo sospetto di un attacco nucleare, anche in assenza di una conferma.
Gli altri casi di utilizzo sono: l’uso di armi nucleari o altre armi di distruzione di massa da parte di un avversario contro il territorio russo e/o i suoi alleati; azioni intraprese contro il governo russo o le installazioni militari che possano interrompere le capacità di ritorsione militare del paese (includono quindi anche un attacco cyber) o un’aggressione con armi convenzionali che minacci però l’esistenza stessa dello Stato.

Il decreto 355 chiarisce anche che la politica nucleare russa è di natura difensiva.
Le forze nucleari servono cioè solo in casi di necessità estrema ad esercitare la deterrenza, per scoraggiare un eventuale attacco nemico contro la Federazione Russa e i suoi alleati, per garantire la sovranità e l’integrità territoriale dello Stato, per prevenire una possibile escalation di azioni militari e/o a far cessare un eventuale conflitto ottenendo condizioni accettabili per la Russia.
Questo ultimo obiettivo soprattutto, richiama la responsabilità di ognuno dei membri dei Governi e delle assemblee parlamentari dei paesi che oggi stanno continuando a votare per inviare le armi all’Ucraina piuttosto che varare vere iniziative per la pace.
Le prospettive di pace assenti
Non si vedono al momento prospettive di pace e mentre in Russia c’è la mobilitazione parziale di 300.000 riservisti, il Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell’Ucraina il 30 settembre ha approvato un decreto, ratificato poi da Zelensky, in cui si afferma che è impossibile negoziare con Putin ed occorre rafforzare la capacità di difesa dell’Ucraina mentre il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha affermato che “raggiungere la pace in Ucraina è impossibile senza soddisfare le richieste della Russia”.
Quello a cui stiamo assistendo è un vero e proprio scontro psicologico che si svolge parallelamente allo scontro militare, in cui le volontà dei diversi attori in gioco (gli stati), attraverso la la minaccia nucleare, cercano di convincere l’altra parte che è inutile andare avanti con il conflitto.
Si utilizza cioè la deterrenza nucleare.
Rispetto agli anni della guerra “fredda”, nella guerra “calda” Russia-Ucraina la potenza atomica è solo una, la Russia, mentre l’Ucraina fa affidamento su un’organizzazione nella quale è tornata a chiedere di entrare con procedura accelerata, la Nato, e sulle potenze nucleari che ne sostengono lo sforzo bellico dall’inizio del conflitto.
Siamo tornati nell’epoca del rischio nucleare o non ne siamo mai usciti? La verità è che le armi nucleari sono sempre state lì, anche negli anni che hanno seguito la fine dell’ex Unione Sovietica, ma nessuno in questi anni ha utilizzato la minaccia del loro uso potenziale per piegare la volontà dell’avversario.
Quanto siamo in pericolo? Le minacce sono vere o soltanto uno strumento psicologico?
Dobbiamo andare a ripescare i principi della strategia nucleare.
Di fronte al pericolo che uno stato usi l’arma nucleare si possono fare quattro cose: distruggere preventivamente la capacità dell’avversario, intercettare le armi atomiche, proteggerci fisicamente dagli effetti delle esplosioni o minacciare la rappresaglia.
La prima azione al momento non è considerabile, la seconda siamo obbligati a considerarla ma potremmo avere due elementi di debolezza tecnologici, il primo è che la Russia potrebbe usare dei missili ipersonici (che noi non abbiamo) impossibili da fermare; il secondo è che attraverso un attacco cyber a noi non evidenziatosi, il nemico potrebbe essersi impossessato di informazioni strategiche per la difesa europea.
Anche la terza azione possibile, quella di proteggerci dagli effetti delle esplosioni, è impossibile da realizzare per tutta la popolazione considerato l’alto numero di bunker di cui ci sarebbe bisogno. Però, un Paese che si preoccupi dei suoi cittadini dovrebbe attrezzarsi per proteggerli e dovrebbe quanto meno pianificare anche per il peggio (mentre, intanto, dovrebbe fare in modo che il peggio non arrivi).

Ci resta l’ultima opzione, minacciare la rappresaglia, ed è quello a cui stiamo assistendo in questi giorni. L’obiettivo è quello di ricordare a Putin (perché già lo sa) che se lancia il primo colpo, è la fine anche per lui.
Durante la guerra fredda nella Nato vigeva il principio della escalation deliberata, che sarebbe dovuta iniziare con un uso limitato di un arma nucleare tattica, come modo per fermare l’invasione russa. Questo era motivato dal fatto che l’occidente riteneva che le sue forze convenzionali fossero inferiori a quelle del Patto di Varsavia. Finita l’Unione Sovietica, però, ora era la Russia che sapeva di essere tecnologicamente inferiore e dovette cambiare strategia. La dottrina attribuita alla Russia, “escalate to de-escalate”, corrisponde a quella della Nato durante la guerra fredda.
Il significato di “escalate to de-escalate”, frase che non esiste citata effettivamente con queste parole nella dottrina russa, è che sia possibile avviare attacchi nucleari limitati in un conflitto locale/ regionale, fondati sulla convinzione che una tale escalation, da convenzionale a conflitto nucleare, potrebbe sconcertare l’avversario e convincerlo alla pace.
Altri, infine, sostengono che la tecnica russa sia quella dell’escalation control il cui fine è quello di mantenere l’escalation sempre al suo livello minimo accettabile. Effettivamente la guerra in Ucraina sembrerebbe confermare questa tendenza della Russia ad usare gli strumenti che le consentono di tenere le redini del conflitto per poter controllarne la soglia oltre la quale sarebbe incontrollabile. Ma chi sa dire esattamente quando le “redini” possano sfuggire?
Nella consapevolezza che la Russia voglia impaurire e spaccare il fronte nemico, chi può affermare al 100% che Putin non deciderà di andare oltre?
“E allora? che facciamo? Cediamo di fronte alle minacce?” NO, certo. Ma a questo punto si può rispondere: “e allora, se succede quello che non doveva succedere, che facciamo?”
Arrivare a un cessate il fuoco per poi arrivare alla pace
C’è una sola strada ed è quella di arrivare subito a una tregua einiziare un percorso di pace.
Non è vero che sia necessario per forza cedere a Putin.
Ci si può fermare, creare aree cuscinetto, affidare l’area contesa alle Nazioni Unite o a una missione di pace europea, fare, come ha proposto Elon Musk, un referendum vero (non la farsa russa) affidato all’ONU, tornare a ragionare sugli accordi di Minsk per renderli, questa volta, veramente effettivi, trovare degli assetti costituzionali che tutelino e garantiscano i diritti delle minoranze che convivono nella stessa nazione.
Sono tante le possibilità per far ripartire il dialogo.
Non è tutto perso e le trattative non devono significare sconfitta totale per l’Ucraina o per la Russia.
La pace, invece, è la vittoria di tutti.
Il ruolo europeo per la pace
Basta con la retorica e la narrativa per cui chi chiede pace è qualcuno che vuole far vincere la Russia.
Non va neanche specificato da che parte sia la colpa: è chiaro a tutti. Ma la PACE ha un valore a prescindere e che sia l’Europa la protagonista di questo momento, quell’Europa, non unita veramente, che sta rischiando di morire sotto il peso della proprie decisioni “unitarie” e che ha lasciato alla Turchia, nazione non certo “democratica”, il ruolo di promuovere la pace, mentre intanto continua ad espandere la sua influenza e riceve la proposta dalla Russia per diventare un hub del gas.
Serviva l’Ucraina per accorgersi che l’Europa è un progetto ancora non ultimato? Bene, raccogliamo le sfide: le crisi pandemica e la guerra ci hanno dimostrata che solo una dimensione europea forte ci consente di vincere le sfide globali.
Occorre andare con convinzione verso un’unione energetica europea, occorre far partire una politica vera di difesa europea, occorre, soprattutto, una vera politica estera europea, altrimenti a quale testa metteremo in mano la difesa e la tutela degli interessi europei?
Occorre riprendere in mano il sogno degli Stati Uniti d’Europa.

Autore: Lilia Alpa
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Andiamo avanti. Quando tutto sembra perduto, quando lungo la strada si offusca l’orizzonte e ci si allontana dal percorso tracciato, bisogna fermarsi, rileggere i valori fondanti di questo percorso unitario e ripartire quindi dalle proprie radici.
L’Europa Unita a questo punto sembra essere l’unico fattore di stabilizzazione internazionale possibile. L’unico faro che possa condurre ad un nuovo ordine mondiale basato su democrazia, confronto e pace. Riprendiamo in mano il sogno!
Dichiarazione Schuman maggio 1950