I russi si ritirano, no non si ritirano, stanno solo fingendo, in realtà aumentano il numero di uomini al confine…la guerra fatta di informazioni tra Russia e Ucraina è iniziata da tanto tempo, quella vera ancora no e c’è sempre tempo per non farla scoppiare.
La Ragione, l’esperienza, la saggezza degli uomini e delle donne che contribuiscono alla costruzione della storia, momento per momento, dovranno fermare gli eventi.
Credo che la guerra affascini, purtroppo è vero.
Come dice Margaret Macmillan nel libro ‘War, Come la guerra ha plasmato gli uomini’, “la guerra è un mistero sia per chi la combatte che per chi vi assiste, un mistero complicato e inquietante. Dovrebbe suscitare ripugnanza eppure affascina e reca con se seducenti valori…”
Uno dei paradossi della guerra è che le cose per cui valga la pena vivere sono anche quelle per cui vale la pena morire, conquista, autodifesa, idee e sentimenti.
Margaret Macmillan, ‘War, Come la guerra ha plasmato gli uomini’.
Ma l’uomo ha la ragione.
Mi piace ricordare a questo punto anche le parole di Papa Francesco nell’enciclica Fratelli Tutti, quando parla della guerra mondiale a pezzi ed accenna alla “mancanza di orizzonti in grado di farci convergere in unità, perché in ogni guerra ciò che risulta distrutto è «lo stesso progetto di fratellanza, inscritto nella vocazione della famiglia umana», per cui «ogni situazione di minaccia alimenta la sfiducia e il ripiegamento». Così, il nostro mondo avanza in una dicotomia senza senso, con la pretesa di «garantire la stabilità e la pace sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e sfiducia».
E ancora, in un suo discorso sulle armi nucleari, nel dicembre del 2019 Papa Francesco ha detto:
“La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale; sono possibili solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana di oggi e di domani.”
Papa Francesco, Enciclica Fratelli Tutti
Dunque abbiamo di fronte a noi, la realtà, di un mondo che scalpita verso la guerra e il modello di un futuro che sia determinato dall’interdipendenza e corresponsabilità della famiglia umana.
In mezzo ci sono le nostre scelte.
Bene sta facendo l’Italia a rimanere voce dialogante di fronte all’evidenza delle scelte di Putin, che di fatto ha accerchiato anche l’Europa costringendola quasi a prendere una posizione unitaria di difesa dell’Ucraina (aggiungo, sacrosanta difesa), ma che non ha posto di fronte alle richieste di Putin altre minacce.
Io andrei ancora oltre: occorre una svolta che cambi totalmente la prospettiva. Occorre una distensione totale.
Andando avanti nella direzione intrapresa non si sta facendo altro che far unire i destini di Russia e Cina.
Ma ragioniamo sugli interessi russi: Putin vuole la neutralità dell’Ucraina. Possiamo ancora scambiare questa totale neutralità con l’impegno della Russia a continuare a rispettare gli accordi di Minsk?
Putin ha bisogno di una via di uscita che non sia una sconfitta.
Anche la Nato ha bisogno di una via di uscita che non sia una sconfitta.
Può bastare la dichiarazione di Scholz a Kiev “L’ingresso dell’Ucraina nella Nato non è in agenda” ? No perché durerà fino a che lui sarà al potere ma nulla assicura sul futuro. D’altra parte la Nato non può cambiare se stessa ed annullare la politica della porta aperta. E infatti il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, al termine della ministeriale difesa della Nato a Bruxelles ha detto: “La porta della Nato rimane aperta, qualsiasi decisione sull’adesione alla Nato spetta agli Alleati e ai Paesi aspiranti e a nessun altro”. Ha aggiunto “Il diritto di ogni nazione a scegliere la propria strada è assolutamente fondamentale per la sicurezza europea e transatlantica e va rispettato”. Quindi?
Probabilmente se fossero tutti i paesi europei a fare la stessa affermazione di Scholz, il peso sarebbe ben diverso, Putin avrebbe raggiunto il suo obiettivo e la Nato non avrebbe piegato la testa di fronte alle pretese russe.
È l’Europa che oggi deve giocare il ruolo richiamato da Papa Francesco, quello di riunire gli orizzonti.
D’altra parte la Nato ha una grande opportunità: far ripartire il dialogo con Putin! Concedere alla Russia di inserirsi in una prospettiva europea.
Ricorda George Robertson, segretario generale NATO tra il 1999 e il 2003 che nel 2000 durante un incontro Putin gli chiese quando avrebbe invitato la Russia ad entrare nella Nato. Putin a quel tempo non escludeva l’adesione della Russia alla Nato, a patto di essere considerato un partner alla pari degli altri. Putin riteneva che la Russia facesse parte della cultura europea e che non dovesse essere isolata dall’Europa.
Oggi occorre garantire le scelte sovrane dell’Ucraina e offrire piena sicurezza alla Russia.
USA, UE e Federazione russa, tutte insieme, assommano poco più della metà della popolazione cinese, la Russia è una nazione di tradizione, religione, storia e cultura europee con uno sviluppo coloniale asiatico, ma pur sempre nazione europea.
È indispensabile favorire uno sviluppo e un equlibrio multipolari con un perno statunitense e partnership paritarie UE e Russia
Sembra fantapolitica, ma a chi conviene spingere la Russia verso la Cina? A nessuno, neanche alla Russia che piuttosto potrebbe, un giorno, essere un ponte verso la Cina.
Sappiamo tutti che basterebbe poco nella situazione attuale per dare fuoco alle micce e che questo potrebbe avvenire anche inconsapevolmente.
Ma occorre andare oltre l’inevitabile e sognare l’impossibile per preparare il futuro.
A humanitarian catastrophe is taking place in Ethiopia following a war little of which is said in Italy. As Italians (and Europeans), we cannot stand by, nor limit ourselves to only send emergency convoys. The unity and stability of Ethiopia, the Horn of Africa and the entire Region are at stake. Written by Elisabetta Trenta, former Italian Minister of Defense.
On September 16th, 2018, after more than twenty years of war, the world celebrated when the meeting between Ethiopian Prime Minister Abiy Ahmed and Eritrean dictator Isaias Afwerki marked the outbreak of peace between the two countries, both Italian colonies for a short period of time. Following this peace agreement and for announcing that he would launch liberal reforms in the fields of economics and politics and, therefore, giving concrete evidence of wanting to strengthen democracy, Abiy was awarded the Nobel Peace Prize in 2019. A prize awarded a little too early, but that expressed the enthusiasm for this new phase, which highlighted the moment of stabilization for the whole Horn of Africa and for the Italian relations in an area where we Italians still maintain close collaborations.
In the wake of these reforms, relations between Italy and Ethiopia began to develop faster than in the past, and I personally signed a cooperation agreement in the defense sector with the then Ethiopian defense minister, Aisha Mohammed Musa. The agreement included joint training initiatives, know-how exchange, peace support operations, countering terrorism and violent extremism, military research, development and collaboration in the defense industry.
Obviously, I would not have signed it if I had had only doubt about what happened afterward. At the time, however, we had no indicators regarding the future; on the contrary, we were looking at a country coming from fifty years of absolute monarchy, revolutions, civil war and authoritarianism. The new leader, immediately after taking office, freed political prisoners and journalists, opened to opposing parties and encouraged rebels to disarm; a very long war with Eritrea ended with the word peace and he promised to hold the first free and fair elections in the second most populous country in Africa.
However, in November 2020, President Abiy launched an offensive strike against the TPLF forces (Tigrayan People’s Liberation Front) which he had accused of pursuing insurgent objectives and being traitors to the homeland. What had happened?
From an ethnic point of view, Ethiopia is a very fragmented country with its nine states divided on an ethnic-linguistic basis. The state of Oromia is the most populous one, with approximately 33 million people. Abiy Ahmed belongs to the Oromo ethnicity, which is one of the most marginalized in the country that had not expressed a prime minister since 1991; the Tigrinya ethnic group, on the contrary, although representing only 6% of the Ethiopian population, has always had the prime minister in office.
A further clarification to try to understand the reason of the conflict is that Abiy won the elections, declaring he wanted to favor national unity and create a strong national identity, with the support of the Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF), a coalition of which the TPLF was a key part. However, in order to further consolidate his position within the coalition, after the election Abiy established the Prosperity Party, easier to control, bringing together all the constituents except the TPLF.
The crisis with the TPLF worsened after Tigray held the regional elections in September 2020 deeming that the delay of the national elections due to the Covid pandemic, initially foreseen in August, was unconstitutional. Abiy did not concede to those elections. On 24 October, a change of commander should have taken place in the Northern Command; half of the Ethiopian Defense Forces depend from him. The commanding officers, many of them Tigrinians and with sympathies towards the TPLF, refused to welcome the new commander. As always, an excuse, an armed attack by the TPLF on an Ethiopian military base, prompted Abiy’s response, who therefore ordered airstrikes in order to dismantle the Tigray region’s government.
The military escalation immediately initiated a process that inevitably led towards a civil war (like the one from 1974-1991) which has strong possibilities of destabilizing the entire Horn of Africa and nearby countries such as Egypt and Sudan. Moreover, tensions with these two states have increased due to the construction of the GERD dam (Grand Ethiopian Renaissance Dam), which Ethiopia wants to complete even without having reached an agreement with Sudan and Egypt regarding the exploitation of the water resources of the Nile River.
Nowadays the humanitarian situation is a disaster: the government accuses the TPLF of employing drugged child soldiers and, on the other hand, the Tigrinya people and Eritrean refugees raped, tortured, massacred and subject to mass executions. All of them employed, along with hunger, as weapons of a war with the features of genocide. An immediate solution must be found to face 6.8 million civilians in dire need of food, 70,000 refugees in Sudan, 2.2 million internally displaced persons, 80% of health facilities looted, tens of thousands of civilians massacred and dozens of thousands of raped women and girls (Data source: Twitter account Tigray Italy).
The U.S. Department of State has initiated a legal process to determine whether the news of the mass executions and rape are indeed a clear sign of ongoing genocide, that is, the will to “destroy, in whole or in substantial part, a national, ethnic, racial or religious group”. A declaration of genocide would mean that that war is no longer an internal event; it is something that affects humanity as a whole and could, therefore, also justify an external intervention.
In the meanwhile, U.S. President Joe Biden has signed an executive order imposing sanctions on all criminals, from every faction, perpetrators of war crimes and crimes against humanity since the start of the war in Tigray. In addition, there will also be a reform and an update regarding the legislation on the arms embargo towards Eritrea and the inclusion of the same rules regarding Ethiopia. This is a clear pressure from the United States towards the respect of human rights, to allow access for humanitarian convoys to Tigray and to try to bring together, at the peace table, all the parties involved, including Eritrean troops and Amara militias that are supporting the Ethiopian army.
Like the United States also the European Union asks for firmness, in an international framework in which Prime Minister Abiy has preferred the support from emerging powers rather from them; countries such as Turkey, Russia or Somalia that have little concerns towards human rights. In this context, Italy must not stand by and watch, nor limit itself to only attempting to send emergency convoys. The unity and stability of Ethiopia, the Horn of Africa and the entire Region are at stake.
Significant political initiatives are also needed such as, for example, suspending the collaboration agreement in the defense sector that I signed, and was later put into force while we were beginning to realize the way the country was heading. It is not enough to simply encourage dialogue, we need a real – composite – initiative for peace. The Ethiopian society present in Italy is asking for it and our humanity demands us to do so.
Possiamo riassumere con una semplice ma efficace frase la filosofia che è dietro alla modifica normativa, inserita nel decreto d’urgenza “Misure urgenti in materia di giustizia e difesa, nonché proroghe di referendum, assegno temporaneo e IRAP”, che è stata inserita per assicurare alla Marina il prossimo Capo di Stato Maggiore della Difesa, che, come da prassi, vuole la rotazione tra le varie FFAA. La frase è la seguente “esistono solo due categorie di norme: quelle che non si applicano e quelle che si modificano prima di applicarle”.
Nulla da dire rispetto alla Marina, Forza Armata che, come ho scritto in un articolo tempo fa, è stata troppo ridimensionata e questo è un pericolo per un paese “immerso” nel Mediterraneo. Sono anche d’accordo che sia importante rispettare la prassi che spesso ha una forza superiore alla legge ma, nonostante le giustificazioni che il Sole 24ore stamattina si è affrettato a fornire a un pubblico che poco conosce le dinamiche della Difesa, questa sembra proprio una di quelle modifiche normative ad personam e, mi viene il sospetto che essendo inserita in un decreto d’urgenza, possa alla fine non essere convertita, in modo da agire solo sul caso specifico.
Potrebbe sembrare strano che io stia esprimendo rammarico per il provvedimento, visto che io stessa avevo cercato di promuovere la stessa norma, proprio perché anche allora esisteva un ventaglio di scelte limitato.
Ho condiviso alla fine la premura di chi mi diceva “la Difesa è un’organizzazione che va toccata con delicatezza…”. Perchè oggi, mi chiedo, questa delicatezza non sia più necessaria per maneggiare la Difesa?
Come mai, avendo avuto tanto tempo (da set 2019), non si è pensato di procedere con una Legge ordinaria che avrebbe consentito di coinvolgere nella scelta il Parlamento, e di avviare la fase di concertazione interistituzionale che è necessaria per modificare un codice complesso come quello dell’Ordinamento Militare (COM)? Vero è che con un decreto Legge, vista la necessità e l’urgenza, la concertazione avviene nel Consiglio dei Ministri, ma dove stanno la necessità e l’urgenza quando si parla di una carica che sapevamo già tre anni fa che sarebbe cambiata oggi?
Che poi, il modo per far sì che la carica andasse alla Marina senza fare questa forzatura con un decreto Legge e senza violare la prassi che vuole che il capo sia scelto fra i 4 stelle esisteva: bastava far passare dalla carica di Capo di Segredifesa l’attuale vice per poi nominare lui (come è già avvenuto in passato).
Come vedete non sto parlando di persone e non ho fatto alcun nome. Tutti gli alti ufficiali coinvolti nel giro delle nomine, essendo arrivati dove sono, hanno tutte le carte in regola per assumere le responsabilità più alte, ma, ripeto la domanda, come mai, a parità di condizioni, oggi si può fare ciò che ieri non si poteva?
E se domani si ripetesse di nuovo l’empasse, si tornerebbe ancora indietro?
Non sarebbe meglio sostituire l’arbitrarietà delle scelte mascherata da legge e prassi con una norma fatta bene e che consideri ogni possibile fattispecie?
E, infine, come si manifesta la tanto dichiarata volontà di andare verso delle Forze armate interforze se non si supera la necessità della prassi dell’alternanza?
Un commento sul discorso di commiato dell’Amm Treu e sui warning da lui lanciati
#20luglio – Qualche giorno fa, il 16 luglio, a bordo della portaerei Cavour ormeggiata nella Stazione Navale Mar Grande di Taranto, l’ammiraglio di squadra Paolo Treu ha passato il timone della Squadra navale (CINCNAV) all’ammiraglio di squadra Enrico Credendino. La sua allocuzione di commiato è stato un discorso emozionante, che ha rivelato ancora una volta, l’onestà intellettuale di un grande comandante, integerrimo servitore dello Stato, instancabile difensore della Marina, leale collaboratore del Capo di Stato Maggiore della Forza Armata, che non è mai venuto a compromesso con la sua coscienza ma ha saputo sopirla, per amore dei suoi uomini e donne, nel periodo della pandemia. L’ammiraglio ha “denunciato” alcune decisioni che possono influire negativamente sul ruolo della Marina nella Difesa dell’Italia, di fronte alle quali sarebbe stato pronto a salutare la bandiera, ma non l’ha fatto, per non abbandonare la squadra navale nel difficile momento della crisi Covid.
“Stranamente” nessun grande giornale ha ripreso i temi da lui trattati, certamente non la Difesa e, allora, vorrei farlo io perché condivido ogni singola parola sia stata pronunciata dall’Ammiraglio.
Sull’assegnazione del terzo F35B all’ Aeronautica
Ha detto l’Ammiraglio Treu:
Ho sofferto per l’assegnazione ad altra forza armata del terzo F-35B, ritenendola il primo tassello di un’evidente strategia che mira a spostare il termine della rinascita della Portaerei oltre il 2030, annichilendo di fatto tale preziosa capacità di proiezione.
L’Italia ha in programma l’acquisto di 30 F35B, 15 per la Marina e 15 per l’Aeronautica. Ad ogni aereo pronto per l’assegnazione inizia una vera e propria lotta tra le due FFAA di fronte alla quale credo debba prevalere l’interesse del Paese. Ma non sempre è così e la politica deve prendersi le sue responsabilità.
La non assegnazione alla Marina delterzo F35B-STOVL (a decollo verticale), costruito per essere impiegato prevalentemente dalle portaerei, è indice del fatto che, ancora una volta, abbia vinto l’interesse di parte su quello del Paese. Io sono profondamente convinta che, quando risulta difficile fare delle scelte a causa di una situazione conflittuale, è necessario decidere usando il “cannocchiale”, anziché attraverso la “lente di ingrandimento”, guardando cioè all’interesse generale. È questo che ci chiedono i cittadini.
Che senso avrebbero le Forze armate se non fossero strumento di realizzazione di un interesse supremo di Difesa e Sicurezza?
Che senso avrebbero se non fossero strumento di Politica Estera e proiezione del paese?
Che senso avrebbe se lo Stato investisse nell’ultimo ritrovato dell’industria degli armamenti, che poi non venisse impiegato prioritariamente per lo scopo per cui è stato concepito, progettato, costruito (e nel caso di specie consegnato) per fare fronte alle minacce con cui il Paese deve confrontarsi?
Come dichiarai anche in una intervista di circa un anno fa, il primo momento di tensione sul tema F35-B si ebbe nel 2019, quando fui costretta a intervenire politicamente più di una volta prima che l’aereo fosse consegnato giustamente alla Marina e, dico giustamente, non perché io abbia delle preferenze, ma per delle precise motivazioni strategiche, peraltro presentate e condivise dal Consiglio Supremo di Difesa che, come sa è il massimo organo consuntivo in materia di Difesa previsto dal nostro ordinamento costituzionale.
In particolare, il Consiglio convenne che era necessario per la difesa e sicurezza dell’Italia completare la “capacità portaerei disponibile”, esigenza che ho poi tramutato in una delle priorità del mio Atto di Indirizzo come Ministro della Difesa per l’anno 2019, consultabile sul sito web della Difesa. Per cui se quelle motivazioni strategico-politiche erano valide e necessarie fino al 2019, lo sono ancora di più oggi, che il completamento della capacità portaerei disponibile nei tempi previsti è a rischio.
L’Italia e il Mediterraneo
Considerando che senza il mare non è possibile lo sviluppo di tutte quelle attività necessarie all’esistenza e alla sussistenza dello stesso genere umano, dall’ approvvigionamento di cibo ed energia, ai commerci, ai collegamenti trans-oceanici, traduciamo quest’affermazione con qualche numero, per rendere meglio il concetto.
Il Mediterraneo è una “cerniera” tra tre continenti, quello europeo, quello africano e quello asiatico. Esso, pur rappresentando soltanto l’1% della superficie acquea globale, è interessato dal 19% del traffico marittimo mondiale, che sale al 30% per quanto riguarda il petrolio e al 65% per le altre risorse energetiche comprese quelle trasportate dai gasdotti sottomarini ed è nel mediterraneo che l’Italia – una Penisola stretta e lunga – si protende con i suoi oltre 8.000 km di coste. Il mare è, per il nostro paese, il mezzo attraverso cui si muovono i principali flussi di import/export, per cui il saldo commerciale nel 2018 ha registrato un attivo di circa 40 Mld di eur, ponendoci tra i primi paesi al mondo. Il cluster marittimo dà occupazione a mezzo milione di lavoratori e a 5 milioni di lavoratori nell’indotto; contribuendo al PIL per il 2,6 pct; abbiamo la quarta flotta mercantile mondiale, la seconda flotta peschereccia europea e tra le prime flotte di traghetti al mondo. Per non parlare poi dell’altra rete che accoglie il fondo del mare, oggi vitale e in quanto tale anche fragile, cui forse la maggior parte di noi presta non molta attenzione, dandone gli effetti per scontati e ininterrotti. Mi riferisco, a internet.
Dal mare ci giungono oggi le principali sfide. La prima, la più importante, la crisi in Libia. Un Paese diviso in due, con due governi che si combattono attraverso le milizie che li supportano e con l’appoggio finanziario, in termini di armamenti e di presenze militari di altre potenze regionali e non. Il rischio per noi è grande e si esprime in termini di aumentata insicurezza energetica, crescente instabilità a 2000 km dai nostri confini, aumento del rischio migratorio (la Libia assorbiva anche molti migranti che venivano dall’Africa), crescente rischio terroristico, riduzione delle opportunità per le nostre imprese.
Ricordo che ai tempi della guerra in Libia del 2011, cui l’Italia partecipò nell’ambito dell’operazione della NATO “Unified Protector”, il dispositivo navale era tutto a guida italiana: il Comandante della Forza Navale della NATO era l’ammiraglio comandante il Comando Marittimo Alleato di Napoli (poi chiuso nel 2013), mentre il Comandante delle operazioni tattiche in mare era un altro ammiraglio italiano imbarcato sulla Nave di bandiera della nostra Marina (Etna). L’unica portaerei del dispositivo NATO era la nostra Nave Garibaldi con i suoi Harrier imbarcati. Vi era un’altra portaerei, ma in missione nazionale, e si trattava della francese Charles De Gaulle.
Tornando a oggi, sulla base di un conflitto geopolitico regionale, già sufficientemente pericoloso, si aggiunge il nuovo protagonismo della Turchia che, con i due accordi firmati con la Libia il 27 novembre 2019, uno di collaborazione militare e l’altro sulle risorse marittime, ha reso ancora più complicate le relazioni nel Mar Mediterraneo orientale. Con il secondo accordo sono state infatti delimitate le aree di competenza dei due Paesi e la Turchia ha potuto dividere quello che la Grecia considera il territorio marittimo delle sue isole e ha dato un’ulteriore giustificazione alle proprie esplorazioni petrolifere nell’area di Cipro.
Oggi la Turchia è presente in Libia, dopo aver sostenuto militarmente il governo di Tripoli nella guerra contro Haftar ed è responsabile anche della formazione della Guardia Costiera libica, che prima formavamo noi e dovremmo tornare urgentemente a farlo. Quella Guardia Costiera che oggi non mostra più il rispetto nei confronti dei migranti che mostrava quando collaborava con noi.
Le tensioni nel Mediterraneo crescono sempre di più, anche collegate ai progetti energetici, e sono comparsi altri soggetti, come la Russia, presente in Libia oltre che in molte zone africane, con la propria compagnia di mercenari, il Gruppo Wagner.
Dall’estate 2019 si è fatta concreta anche la crisi nello stretto di Hormuz a causa dell’assertività degli iraniani e quest’anno l’Italia ha aderito alla missione europea Emasoh.
In questo quadro è chiaro a tutti che l’essere dotati di una portaerei al massimo delle sue capacità permetterebbe al nostro Paese di poter esercitare azione di deterrenza, nonché di proiezione di potenza necessaria a tutelare i nostri interessi geostrategici.
Mi sembra evidente che in questo contesto l’espressione effettiva della capacità portaerei è indispensabile per una efficace diplomazia
L’Aeronautica ha già raggiunto la IOC (Initial Operational Capability) dei propri F35-A (a decollo normale). Affinché l’investimento che il Paese ha fatto sull’intera flotta F35 (60 a decollo normale e 30 a decollo corto/verticale) porti al più presto i suoi benefici in termini di utilità per la difesa e sicurezza del Paese, è necessario che anche la Marina raggiunga al più presto la sua piena capacità operativa, e questo è possibile solo quando riuscirà a completare il primo gruppo di volo imbarcato.
Distribuire gli F35-B uno a Marina e uno ad Aeronautica è un modo per allungare senza motivo questi tempi. O forse il motivo c’è, ma non è chiaro e comprensibile anche ai cittadini normali, che con le tasse che pagano rendono possibili queste acquisizioni, per la loro stessa difesa e sicurezza attraverso le Forze armate.
Come cittadina oggi, come Ministro ieri, mi preoccupo quando si sprecano risorse, o tempo – che è la stessa cosa – senza motivazioni, forse apparentemente, poco plausibili.
Sul perchè non bisogna depotenziare la Marina e perché la capacità portaerei è strategica
Gli interessi nazionali nel dominio marittimo extra-territoriale posso essere ricondotti a tre macro-ambiti: energetici (con particolare riguardo all’estrazione e al trasporto petrolifero), traffico commerciale e attività di pesca. Cosa può dunque minacciare questi nostri interessi? Minacce che spaziano da quelle militari convenzionali, a quelle portate da attori sia statuali che non-statuali lungo le linee di comunicazione marittima (ad esempio gli attacchi contro petroliere nel Golfo Persico), al fenomeno della pirateria marittima in alcuni chock point di rilevanza strategica nazionale (come le acque al largo del Corno d’Africa dove da tempo l’Unione Europea ha avviato un’operazione militare marittima – Atalanta – cui l’Italia partecipa con una Unità Navale della Marina), al terrorismo (ad esempio il sequestro dell’Achille Lauro), ai traffici illeciti, che comprendono anche quello degli esseri umani e delle armi.
C’è anche un’altra motivazione che addussi due anni fa al Generale Vecciarelli: la Brexit. Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, i Paesi europei in possesso di una portaerei restano solo due, Italia e Francia, perché la Juan Carlos, spagnola, anche se dotata di ponte di volo, non è una portaerei. A questo punto è aumentato anche il nostro “valore” nell’ambito delle capacità di difesa europee e questo conferisce una maggiore forza al nostro Paese.
Infine c’è una motivazione pratica: abbiamo fatto un grande investimento per migliorare il ponte di volo della Cavour, perché ritardare ancora nell’acquisizione degli aerei da imbarcare?
Sull’assegnazione di due FREMM all’Egitto
Il mio cuore subì un nuovo duro colpo: la cessione delle nostre ultime due fregate FREMM all’Egitto.
Attenzione, dice l’Ammiraglio Treu, “A seguito di ciò, l’Italia ora dispone di un numero totale di unità di prima linea – ossia di Caccia e di Fregate – inferiore persino all’Algeria, oltre che all’Egitto e alla Turchia.“
Stiamo attenti a sottovalutare il rango dell’Italia nel Mediterraneo. Oggi la Turchia ha 26 fregate contro 14 dell’Egitto, 15 dell’Algeria e 12 dell’Italia, mentre per quanto riguarda le corvette/pattugliatori, la Turchia ne ha 37, l’Egitto 40, l’Algeria 6 e l’Italia 10. Credo che questi dati parlino da soli.
E bisogna considerare anche il sottodimensionamento della marina in termine di Personale.
E’ ora di capire che l’Italia non può permettersi una Marina depotenziata, come non può permettersi il depotenziamento di nessuna delle FFAA. Le scelte siano ispirate da priorità strategiche!
Il discorso di commiato dell’ammiraglio Paolo Treu
Sottosegretario alla Difesa Senatore Stefania Pucciarelli, infinite grazie, da parte di tutti noi, per presiedere questa cerimonia, a testimonianza del grande affetto e della solidale vicinanza che ha sempre dimostrato verso il personale della Squadra Navale.
Autorità e gentili ospiti, Vi porgo la nostra corale riconoscenza per aver arricchito, con la Vostra presenza, questa vibrante atmosfera, colma di emozioni, nella cornice di Taranto, scintillante icona della marittimità nazionale e granitico pilastro della Marina.
Un deferente omaggio alla Bandiera di Guerra della Marina Militare e delle Forze Navali e che Dio ponga sul nemico il terrore di Lei, come chiediamo con il nostro canto, al tramonto, sul mare.
Pari omaggio rendo alle Bandiere di Guerra del 1° Reggimento San Marco, delle Forze Aeree e del Comando Sommergibili.
Lancio il mio cuore commosso verso i nostri caduti, con l’impeto del mio più energico rispetto per il loro generoso sacrificio.
Un fraterno saluto al personale delle Capitanerie di Porto, dei Carabinieri per la Marina e della Lega Navale Italiana.
Un abbraccio ai soci dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia e delle Associazioni Combattentistiche.
La mia gratitudine alla Rappresentanza Militare, nonché ai Rappresentanti Sindacali, per la loro preziosa opera.
Un empatico e solidale omaggio ai nostri veterani e a chi soffre, nonché alle famiglie che hanno perso il loro cari.
Un affettuoso abbraccio ai nostri famigliari, che con la loro pazienza, affetto e amore ci donano forza, resistenza e coraggio.
Un bacio amorevole e riconoscente a mia moglie Paola che, anche nella burrasca del peggiore e immeritato dolore, non mi ha mai fatto mancare il Suo indistruttibile sostegno.
Un marinaresco abbraccio a mio figlio Carlo, ex brigadiere della Scuola Navale Militare Morosini, molto legato alla Marina.
Un grato saluto a mia madre Lucia, una corazzata di 87 anni, espressione di genuino coraggio, autentica libertà di pensiero e grande umanità, accompagnata dalle mie tre sorelle e mio fratello.
Un goliardico saluto ai compagni di corso dell’Accademia e del Morosini, nonché al Presidente dell’Associazione di quest’ultimo.
Sono all’approdo finale, nel miglior incarico che mi poteva capitare e di questo ringrazio il Capo di Stato Maggiore della Marina.
Caro Pino, Ti avevo promesso una collaborazione leale, schietta e costruttiva, ma non supina, con un confronto dialettico, assicurandoTi che, nel momento della decisione, avrei comunque imbracciato il remo per vogare nella direzione da Te indicata o in alternativa avrei salutato, per l’ultima volta, la bandiera.
Ci conosciamo da tempo e Ti è sempre piaciuto evidenziare, anche scherzosamente, le nostre diversità nell’indole, con riferimento al mio nickname “Pitbull” guadagnato in teatri di feroci battaglie, in cui mi sono lanciato sulla preda senza preoccuparmi della mia incolumità personale … così come fa il pitbull.
Lo ammetto, non sono un leader per tutte le stagioni e mal mi adatto a navigare in acque calme per aggirare la tempesta.
La mia stagione è quella in cui è la Marina che si fa tempesta.
Fra le battaglie c’è quella per l’F-35B, ossia il JSF Joint Strike Fighter a decollo corto e atterraggio verticale, necessario per rinnovare la capacità della Portaerei.
Una battaglia in cui mi sono sempre dato fuoco, consapevole delle ritorsioni, perché si tratta di una capacità strategica per l’Italia, specchio del Suo rango internazionale, militare e non.
Ho sofferto per l’assegnazione ad altra forza armata del terzo F-35B, ritenendola il primo tassello di un’evidente strategia che mira a spostare il termine della rinascita della Portaerei oltre il 2030, annichilendo di fatto tale preziosa capacità di proiezione.
La componente JSF imbarcata è infatti quella più pregiata, perché beneficia della versatilità dello strumento aeronavale, capace di muoversi avvalendosi della libertà dei mari e della Sua intrinseca autonomia logistica, in modo da raggiungere ogni parte del globo per lanciare le Sue Aquile Marine nel modo più costo-efficace, rapido e letale.
Ero Comandante in Capo da pochi mesi, ma sentivo l’imperativo morale di compiere un gesto eclatante, salutando per l’ultima volta la bandiera, per attirare l’attenzione del governo – e non solo – su una decisione che ritenevo molto dannosa per la nostra amata Italia.
Ma da quel gesto mi fece desistere l’esplosione della pandemia.
Mi sarei infatti sentito un vigliacco se, in quella burrasca, avessi abbandonato il timone della Squadra Navale.
In me prevalse il dovere morale di rimanere con le mie Donne e Uomini, per affrontare uniti e coesi quell’epocale emergenza.
Richiusi quindi in gabbia il pitbull che ringhiava in me e concentrai tutte le mie energie a sostegno del mio personale e delle relative famiglie, per riaccendere, con una nuova fiamma, la motivazione, l’entusiasmo e lo spirito di appartenenza dei nostri Equipaggi, veri artefici dei successi della gloriosa Squadra Navale.
Fu così che, armati di passione per il nostro lavoro e di amore per il nostro Paese, abbiamo assolto tutte le missioni programmate, proiettando a livello internazionale l’immagine di un’Italia grande, di un Paese che non molla mai e combatte con fierezza.
Sempre a causa della pandemia, continuai a tenere imprigionato in me quel pitbull, anche quando il mio cuore subì un nuovo duro colpo: la cessione delle nostre ultime due fregate FREMM all’Egitto.
Ciò è in controfase con la costante crescita degli impegni sul mare, cui si è aggiunta la missione EMASOH, nel Golfo Persico.
A seguito di ciò, l’Italia ora dispone di un numero totale di unità di prima linea – ossia di Caccia e di Fregate – inferiore persino all’Algeria, oltre che all’Egitto e alla Turchia.
E poi si consideri le conflittuali spartizioni del Mediterraneo, alle quali ha fatto seguito il potenziamento delle Marine di protagonisti emergenti, che impongono la necessità di presidiare e difendere – con le nostre unità di altura – la neo istituita Zona Economica Esclusiva, pena la soccombenza alla volontà altrui.
Tutto ciò mette in chiara e drammatica evidenza l’attuale sottodimensionamento dello strumento aeronavale, il cui elemento di pregio, ossia la Portaerei, rischia oltretutto di rinnovarsi alle calende greche, se i primi 15 F-35B, quantitativo minimo per il conseguimento della reale capacità, non andranno tutti alla Marina.
Con queste considerazioni ho voluto condividere, con l’Ammiraglio Enrico Credendino, due delle mie principali preoccupazioni, oltre alla nota e drammatica carenza di personale.
Caro Enrico, a Te che sei un dirigente di prestigio della nostra amata Marina, affido lo strumento aeronavale, ma soprattutto il Suo immenso cuore, la Sua vulcanica mente e le Sue infaticabili braccia, ossia il personale che anima e dà gloria alla Squadra Navale.
Caro Enrico, nei miei due anni di mandato è stato fatto molto per il personale e le relative famiglie, ma ancor più si può e si deve fare.
Più investirai in questa straordinaria risorsa e più raccoglierai in termini di successi operativi, per il bene della Marina e dell’Italia.
Donne e Uomini della Squadra, siete Voi i veri protagonisti di questa giornata, in quanto tenutari del passato, del presente e del futuro, elemento di continuità in un comando che cambia.
In questi ultimi giorni ho peregrinato, nelle varie sedi, per manifestare a tutti Voi i miei più sinceri e abissali sentimenti di gratitudine per gli straordinari risultati che avete conseguito.
Di fronte ai nostri successi voglio farmi piccolo, attribuendo il merito a tutti Voi, di fronte a ciò che si poteva fare meglio voglio farmi grande, assumendomene tutte le responsabilità.
A tutti Voi rinnovo la mia più sincera, commossa e affettuosa gratitudine per avermi regalato enormi soddisfazioni umane e professionali, che serberò per sempre fra i miei più cari ricordi e che proteggerò negli abissi del mio cuore.
Insieme a Voi, ho ritrovato il mio ambiente naturale, ho ritrovato me stesso, ho ritrovato il piacere di lavorare.
Il Vostro calore umano e la Vostra solidarietà, hanno peraltro curato le ferite causate dalla peggiore, ignobile e immeritata cattiveria che ho incrociato sulla rotta del mio precedente incarico
Ciò mi ha consentito di ridare significato al mio lavoro, perché in Voi e in tutto il personale della Squadra Navale ho trovato un più che meritevole obbiettivo su cui concentrare le mie migliori risorse ed energie.
Tuttavia, se sommo tutto ciò che Voi mi avete donato e lo confronto a ciò che io Vi ho donato, il mio sforzo mi pare davvero essere solo una goccia, in mezzo a un mare immenso.
Buon vento vi accompagni sulla rotta verso sempre più grandi successi e che la buona sorte Vi spiani i mari sulla rotta del vostro fulgido futuro.
La mia stagione – quella della tempesta – ha da tempo perso le sue foglie, la pandemia ha perso il suo volano e la metà superiore della clessidra ha perso il suo ultimo granello di sabbia.
Ora gli astri del mio destino sono allineati, la mia missione è giunta a compimento, il pitbull riprenderà la corsa … e non solo.
Ora posso, serenamente, salutare la bandiera, per l’ultima volta.