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C’è troppo poco gas in Europa

Poco Gas, il freddo che arriva e le decisioni difficili

Qualche giorno fa la Russia ha chiuso i rubinetti di Nord Stream per fare pressioni contro le sanzioni e l’Europa tutta si prepara al freddo inverno senza sapere bene come sostituire il gas russo. Intanto i prezzi sono ricominciati a salire e le compagnie petrolifere guadagnano bene.

Lo stop al gas da parte russa probabilmente non è solo un effetto delle sanzioni, ma anche una risposta alla proposta del tetto al prezzo del gas. Lo scontro è altissimo. Il futuro energetico non è mai stato così incerto.

L’import di gas naturale dell’UE

Prima della guerra l’Europa importava il 40-45% del gas dalla Russia. Neanche i 20 paesi dell’OPEC tutti insieme raggiungevano questa percentuale (erano al 33%). Subito dopo veniva la Norvegia (con circa 20%), l’Algeria con il 10% e vari fornitori minori (Libia, Azerbaijan, Qatar). Nel tempo l’UE aveva anche cominciato ad importare GNL – Gas Naturale Liquefatto – tra il 5 e il 10% del mix energetico .

Dopo la guerra il rapporto tra GNL e gas russo importato si è ribaltato: la quota di export di gas naturale della Russia è scesa al 15 % (-30 % di quota di mercato) e l’Europa compensa quasi totalmente con il GLN che arriva soprattutto dagli Stati Uniti, con i quali l’UE ha raggiunto un accordo per la fornitura di 15 miliardi di metri cubi di GNL nel 2022.

Per il resto nell’UE non è cambiato molto. Infatti l’Algeria sta fornendo all’Italia una maggiore quantità di gas avendolo però sottratto alla Spagna per motivi politici; la Spagna invece sta acquistando una maggiore qualità di GNL.

L’accordo fatto con l’Algeria stabilisce che entro il 2024 “l’Italia riceverà dall’Algeria circa 9 miliardi di metri cubi di gas in più all’anno, rispetto ai 22,4 miliardi di metri cubi importati nel 2021 (21,2 miliardi di metri cubi attraverso il gasdotto Transmed che arriva a Mazara del Vallo e 1,2 miliardi di metri cubi tramite navi metaniere)”.

da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

L’import di gas naturale dell’Italia

In Italia la dipendenza dal gas della Russia era circa il 45-50%. Come per l’Europa, al momento questo valore è sceso un po’ sopra al 15% mentre è aumentato l’export dall’Algeria che è diventata il primo fornitore.

Inoltre è entrato in funzione il Trans Adriatic Pipeline (TAP), parte del Corridoio Sud del Gas (Southern Gas Corridor), che trasporta il gas naturale in Europa dal giacimento di Shah Deniz in Azerbaijan.

Il Tap è entrato in funzione lo scorso anno e fornisce circa il 15% del consumo italiano.

Per quanto riguarda i rigassificatori, e in generale i progetti energetici, in Italia sono sempre “variabili” trovando molta opposizione da parte della popolazione nel momento in cui devono essere collocati sul territorio. Gli impianti funzionanti sono tre,  La Spezia, Livorno e Rovigo. Ne sono poi previsti due di terra e due su nave. Quelli di terra sono Porto Empedocle (Agrigento, Sicilia), per il completamento del quale i finanziamenti sono stati sbloccati ad aprile 2022 e Gioia Tauro, e due galleggianti, con due navi da posizionarsi a Ravenna e Piombino, dove c’è grande opposizione perché la nave dovrebbe essere posizionata in porto.

Si discute inoltre di un ulteriore rigassificatore a Oristano  (Sardegna), e di ulteriori due navi rigassificatrici a Portovesme (Carbonia-Iglesias e Porto Torres (Sassari).

Da: https://luce-gas.it/attualita/italia-indipendenza-gas-russo-entro-2024

Nonostante l’Italia sia riuscita a limitare la sua dipendenza dal gas russo, se la Russia interrompesse totalmente le forniture, il Paese sarebbe in grandissima difficoltà. Infatti più della  metà dell’energia prodotta in Italia viene dal gas (contro il 25% in Germania) a causa di una transizione energetica più lenta che rende il nostro mercato dell’energia molto più sensibile alle variazioni del prezzo del gas. 

Da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

Perchè i prezzi sono impazziti

Il costo dell’energia è passato da 20 euro a megawattore a un picco di quasi 350. Un aumento vertiginoso dovuto soprattutto all’ eccesso di domanda anche se esiste una componente speculatoria.

Infatti il gas russo è più del 10% del gas mondiale. Sottrarlo dal mercato non può non far impennare i prezzi. Si pensi che la crisi energetica del 1973 avvenne in seguito alla decisione dell’Opec di ridurre la produzione di greggio del 7%. In Italia questo causò il varo da parte del governo Rumor del decreto “Austerity” (22 novembre 1973), che comprendeva una serie di provvedimenti per risparmiare dell’energia, come il blocco alla circolazione delle auto di domenica, l’abbassamento della temperatura degli impianti di riscaldamento, la chiusura anticipata di negozi e uffici.

Oggi l’Europa riesce ad avere ancora un po’ di gas perché sta pagando di più il GNL e le navi che lo contengono vengono riorientate verso di noi, ma i paesi più poveri restano senza e vanno in crisi energetica: lo Sri Lanka è quasi fallito, il Pakistan non riesce a generare elettricità e il Bangladesh sarà il prossimo a trovarsi in serissime difficolta.

Cosa vuol dire imporre il tetto al prezzo del gas

Quando si parla di tetto al prezzo del gas si possono intendere due provvedimenti di tipo diverso che dovrebbero servire, da una parte, ad abbassare il prezzo dell’energia per proteggere soprattutto famiglie a basso reddito e imprese, dall’altra a ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas dalla Russia e amplificare l’effetto delle sanzioni ad essa applicate. Entrambi i provvedimenti hanno pregi e difetti.

La prima proposta è quella di imporre un prezzo massimo all’acquisto del gas russo, l’altra è quella di applicare un prezzo massimo all’energia generata con il gas. 

Imporre un prezzo massimo al gas russo

Al momento più dell’’80% dei contratti in essere con la Russia è indicizzato alla borsa di Amsterdam, il TTF (Title Transfer Facility), un punto di scambio virtuale dove il gas può essere venduto e acquistato al di fuori dei contratti a lungo termine, sia per una consegna immediata. (Spot), sia per una consegna futura a prezzo fissato al momento dell’acquisto (Forward o, anche, Future).

Il 68% degli acquisti sul TTF nel 2021 ha riguardato contratti Future, e questo indica che il quel mercato le operazioni puramente finanziarie sono molte di più di quelle finalizzate ad acquistare fisicamente il gas. È sul TTF che si fa il prezzo del gas europeo ed è anche grazie a questo meccanismo speculativo che i prezzi vengono spinti verso l’alto.

Gasprom vendendo al prezzo formatosi alla borsa di Amsterdam sta guadagnando proprio dalla riduzione delle sue forniture: le sue entrate sono triplicate a fronte di un meno 75% di gas. (Vd. grafico successivo).

Da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

A queste condizioni, alla Russia non conviene smettere di fornirci totalmente il gas, perchè continua a guadagnare.

Come detto prima per l’Europa sarebbe conveniente fissare un price cap (tetto massimo) alla Russia per la fornitura dei suoi volumi di gas, ma a questo punto la Russia perderebbe i suoi guadagni e, quindi, potrebbe essere incentivata a chiudere totalmente le forniture.

Quest’anno, ai prezzi attuali, riuscirebbe infatti ad avere solo dal gas introiti per 100 mld che, con un tetto, scenderebbero a meno di 20 mld euro.

Dunque imporre il tetto spingerebbe la Russia a interrompere le forniture e in questo momento il mercato non ha quel 15% di gas che mancherebbe se Putin chiudesse i rubinetti. Servirebbero almeno due anni per sostituirlo e, intanto, il prezzo di tutto il resto del gas lieviterebbe probabilmente più in alto di quanto sia ora.

Imporre un prezzo massimo all’energia generata con il gas

Nel mercato dell’energia elettrica il prezzo dipende dal mix di energia generata e, in particolare, dal prezzo del gas che spesso è l’ultimo generatore perché facile da usare e sempre disponibile. Per questo il prezzo del gas determina il prezzo marginale.

Quindi se il gas costa 250 Ero mW/h inciderà anche sul prezzo delle rinnovabili perché è grazie al gas che possono essere usate sempre (le rinnovabili infatti sono incostanti e si possono utilizzare solo se integrate con il gas). Alla fine costeranno 250 euro anche se per produrle sono stato necessari 5 euro. Quindi anche il mercato delle rinnovabili viene drogato.

Spagna e il Portogallo hanno sperimentato invece dal giugno scorso l’imposizione di un prezzo amministrato all’energia generata con il gas sul mercato interno, pagandolo circa 40€ a MW/h. Dopo i primi sei mesi il prezzo aumenterà di 5€ ogni mese, arrivando al massimo a 70 €/MWh. Questo permetterà un risparmio in bolletta pari al 38% in meno rispetto al secondo trimestre 2022.

La misura non intaccherà gli introiti per la Russia, perché i produttori di energia continueranno ad acquistare il gas nel mercato internazionale allo stesso prezzo. Sarà poi lo stato a compensare la differenza di costo tra questo tetto e i prezzi TTF (la borsa di Amsterdam). Il costo per i due paesi per un anno è di 8,4 miliardi di euro. In pratica, si ricompensano i fornitori con soldi pubblici.

Il sistema apparentemente non sta funzionando bene perché lo stato recupera i soldi spesi dalle “compensazioni” sulle bollette e quindi per i cittadini è cambiato poco, e dal “reddito di congestione” (cioè i profitti della vendita di gas prodotto in Spagna alla Francia, che sta beneficiando indirettamente della misura acquistando elettricità più a buon mercato dal vicino iberico). Infatti le importazioni di energia prodotta in Spagna dalla Francia sono aumentate e questo potrebbe costare alla Spagna circa 1,2 miliardi di euro. 

Ciò nonostante, da quando è in vigore il tetto, i prezzi finali per i consumatori spagnoli sono stati regolarmente più bassi di quelli che avrebbero pagato senza il tetto. (Figura successiva).

Da: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/russia-e-ue-alla-guerra-del-gas-36090

Fatti i dovuti calcoli il sistema del tetto al mercato interno del gas potrebbe funzionare anche in Italia, anche considerando le diversità nel mix energetico rispetto alla Spagna. Sarebbe opportuno però valutare un recupero del costo pagato dallo stato per compensare i produttori interni, anche attraverso la tassazione degli extra-profitti come contributo di solidarietà a carico dei produttori di energia da combustibili fossili.

Le proposte della Commissione Europea

Il 14 settembre, durante il discorso annuale sullo Stato dell’Unione Europea al Parlamento Europeo in riunione a Strasburgo, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha proposto di tassare il 33% degli extra-profitti delle imprese produttrici di energia fossile a partire dal 2022, con introiti previsti di 25 miliardi di euro in più all’anno. I governi nazionali dovrebbero invece fissare un tetto massimo di 180 euro per megawattora alle entrate generate dai fornitori di energia nucleare e rinnovabile. Questo, a sua volta, genererebbe un profitto in eccesso di circa 117 miliardi di euro all’anno che dovrebbe essere incanalato in sussidi per le famiglie e le imprese in difficoltà che devono far fronte all’impennata delle bollette energetiche. 

La Commissione Europea prevede inoltre che entro l’inizio del 2023 dovrebbe essere varata la riforma del mercato dell’elettricità nella quale è previsto il disaccoppiamento del prezzo dell’energia elettrica proveniente dal gas naturale da quella di altre energie. Collegare il prezzo dell’energia elettrica al gas aveva senso 20 anni fa, quando le rinnovabili costavano molto, ma oggi è il gas ad essere più costoso e a spingere in alto anche i prezzi delle rinnovabili.  

La riforma del mercato elettrico sarà molto importante per tenere basse le bollette, ma sarà anche necessario incidere attraverso di essa sulle abitudini di consumo della popolazione incentivando il risparmio energetico affinche non sia annullato dall’abbassarsi dei prezzi.

Come passeremo l’inverno

Basterà il gas per l’inverno? Se non riduciamo i nostri consumi non basterà. Per ora li abbiamo già ridotti del 5% e non basterebbe comunque. Dobbiamo arrivare ad abbassarli di circa il 10% come dal piano del governo (Piano Nazionale di Contenimento dei consumi di gas naturale).

Se riusciremo a farlo, immaginando che la Russia possa chiudere totalmente le forniture di gas e che quindi la Germania possa avere molto più bisogno di gas dalla Norvegia che glielo venderebbe in cambio di un prezzo più alto di quello pagato dall’Italia, arriveremmo a zero scorte strategiche superando l’inverno.

In teoria, quindi l’Italia potrebbe superare l’inverno anche senza il gas russo e Norvegese. Ma per l’anno successivo non avremmo scorte.

Occorre una soluzione composita che preveda sia investimenti pubblici come la velocizzazione dello sviluppo delle rinnovabili (parchi eolici marini, energia dal moto ondoso, energia idroelettrica con costruzione di nuove mini dighe, geotermica, solar roads, power roads), il raddoppio del TAP, rigassificatori mobili o la riapertura, anche solo temporanea, dei nostri giacimenti di gas, sia investimenti privati, per esempio, per la realizzazione di comunità energetiche a livello di quartiere o condominio.

Occorre portare avanti con forza la scelta di fare delle rinnovabili una componente crescente e prevalente del mix energetico, da integrare fino a che è necessario, con investimenti meno green, anche temporanei. E intanto, spingere sulla ricerca per andare avanti sul progetto di decarbonizazione.

Dal punto di vista geopolitico, la differenziazione delle fonti di approvvigionamento è un obiettivo da perseguire sempre.

Ritengo che varrebbe la pena pensare a una unione tra i paesi del mediterraneo (europei, della sponda Nord dell’Africa e balcanici) che metta al centro della collaborazione la ricerca di un accordo sulla gestione delle risorse energetiche, ambientali e dell’acqua, risorse per le quali si svolgeranno i prossimi conflitti , se non si interviene.

Penso a una Comunità Mediterranea per l’Energia, l’Aqua e l’Ambiente (sul modello della CECA) all’interno della quale stabilire meccanismi regolatori e prevenzione dei conflitti comuni.

Immagine di copertina: Carta di Laura Canali, Limesonline https://www.limesonline.com/carta-dipendenza-europa-gas-russia/128427

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#ConflittoScacciaConflitto, l’Afghanistan dimenticato e le crisi che si sovrappongono

#ConflittoScacciaConflitto così, dopo nove mesi dalla fine della ventennale presenza militare in #Afghanistan, l’indignazione e la preoccupazione che ci ha tenuti davanti alle TV ad agosto, mentre assistevamo alla scena di centinaia di migliaia di persone ammassate intorno all’aeroporto di Kabul, sembra essere già dimenticata.

Eravamo esterrefatti nel vedere quegli uomini che sembravano manichini che cadevano dalle ali dell’aereo a cui si erano appesi, terrorizzati dal ritorno dei talebani con cui noi, l’occidente democratico, avevamo fatto dei patti nella ipocrita illusione che li avrebbero rispettati.

Eppure l’Afghanistan è lì con tutte le conseguenze del nostro lungo passaggio e del nostro essere andati via velocemente, fuggiti di fronte a una veloce avanzata di coloro che avevamo combattuto, mentre fingevamo di credere che avrebbero mantenuto parte di quelli che noi abbiamo ritenuto i successi della nostra presenza, soprattutto il progresso della società afghana, l’aumento della scolarizzazione per tutti e una maggiore libertà per le donne.

Oggi il ricordo di quei giorni di agosto sembra già quasi completamente cancellato dall’orrore di un’altra guerra e da un’altra catastrofe umanitaria.

Eppure qualcuno in Italia aveva detto che avremmo dialogato con i talebani buoni. 

Da qualche giorno i talebani hanno emesso un decreto che impone alle donne l’uso dell’ hijab e punisce il marito, i figli o il fratello se non lo indossano. Potrebbero infatti essere portati in tribunale e anche incarcerati per tre giorni.

La decisione viene dal ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio che è titolare anche dei controlli che esegue attraverso 7000 controllori.

“Le donne che non sono troppo anziane o troppo giovani devono coprire il volto a eccezione degli occhi, in rispetto delle direttive della Sharia, in modo da evitare provocazioni quando incontrano uomini che non sono parenti stretti”.

Il decreto dice anche che le donne che non hanno importanti mansioni da svolgere farebbero meglio a “restare a casa”.

Pare sia stato un compromesso tra talebani più moderati e radicali, tutto giocato sulle donne perché dovrebbe consentire di riaprire le scuole superiori femminili, ancora chiuse nonostante la promessa di riaprirle il 23 marzo. 

Si veda qui il video dell’annuncio: https://video.larena.it/video-server/media/video/215966.mp4

I talebani stanno soffocando di nuovo la vita delle donne che giorno dopo giorno perdono i diritti che faticosamente erano stati conquistati.

Intanto oggi il 95% della popolazione afghana, di cui 10 milioni di bambini, è alla fame con il costo della vita e i prezzi del cibo raddoppiati mentre i redditi sono scesi di un terzo e la disoccupazione è esplosa.

Tra l’altro il maggior esportatore di grano in Afghanistan è l’Ucraina e quindi la situazione può solo peggiorare.

Anche la situazione della sicurezza nel paese è al limite. Durante il Ramadan ci sono stati molti attacchi dello Stato Islamico del Korasan contro gli Hazara, gli sciiti, ed è prevedibile che con l’ondata di fame diffusa, l’Isis troverà nuovi adepti, mentre lo scontento per i talebani cresce anche tra chi all’inizio ha sperato che portassero pace nel paese. 

Mentre i talebani faticano a controllare il territorio l’IS-KP cresce e l’Afghanistan torna ad essere il centro del jihadismo.

Il Paese oggi è completamente isolato, nessun Paese ha ancora riconosciuto il governo dei talebani ma alcuni paesi stati come il Pakistan, la Russia, il Turkmenistan e l’Iran hanno ricevuto i loro diplomatici.

In Italia intanto, dopo la prima missione di evacuazione da Kabul degli Afghani che avevano lavorato con noi e ora rischiano la vita, si stava dando attuazione all’evacuazione di altri ex collaboratori e delle loro famiglie.

Ma è arrivata un’altra crisi umanitaria ed il nostro sistema di accoglienza è messo a dura prova.

E così oggi ci sono centinaia di persone che hanno ricevuto da noi una chiamata a recarsi in Pakistan o in Iran per poter poi essere accolti in Italia, che sono al terzo rinnovo del visto, hanno ormai finito i soldi per soggiornare nei due paesi e non sanno cosa devono fare perchè dall’Italia nessuno risponde. Una vergogna!

La guerra in Ucraina ci dimostra ancora una volta che il mondo non sta diventando più sicuro e le conseguenze che questa guerra porterà non solo nel Paese ma in Europa stessa e in tutti i Paesi dove ci sarà la crisi alimentare creeranno ulteriori pressioni sulle nostre coste.

E’ assolutamente necessario una revisione della normativa italiana ed europea sull’immigrazione e sul nostro sistema di accoglienza dei profughi e richiedenti asilo. perché fare annunci buonisti per poi disinteressarsi delle persone è ancora peggio del non fare niente, sopratutto dopo essere stati protagonisti noi stessi delle cause delle crisi umanitarie.

Difesa, Marina Militare

Ma il pericoloso “sottodimensionamento” dello strumento aeronavale in Italia non fa preoccupare nessuno?

Un commento sul discorso di commiato dell’Amm Treu e sui warning da lui lanciati

#20luglio – Qualche giorno fa, il 16 luglio, a bordo della portaerei Cavour ormeggiata nella Stazione Navale Mar Grande di Taranto,  l’ammiraglio di squadra Paolo Treu ha passato il timone della Squadra navale (CINCNAV) all’ammiraglio di squadra Enrico Credendino. La sua allocuzione di commiato è stato un discorso  emozionante, che ha rivelato ancora una volta, l’onestà intellettuale di un grande comandante, integerrimo servitore dello Stato, instancabile difensore della Marina,  leale collaboratore del Capo di Stato Maggiore della Forza Armata, che non è mai venuto a compromesso con la sua coscienza ma ha saputo sopirla, per amore dei suoi uomini e donne, nel periodo della pandemia. L’ammiraglio ha “denunciato” alcune decisioni che possono influire negativamente sul ruolo della Marina nella Difesa dell’Italia, di fronte alle quali sarebbe stato pronto a salutare la bandiera, ma non l’ha fatto, per non abbandonare la squadra navale nel difficile momento della crisi Covid. 

“Stranamente” nessun grande giornale ha ripreso i temi da lui trattati, certamente non la Difesa e, allora, vorrei farlo io perché condivido ogni singola parola sia stata pronunciata dall’Ammiraglio.

Sull’assegnazione del terzo F35B all’ Aeronautica

Ha detto l’Ammiraglio Treu:

Ho sofferto per l’assegnazione ad altra forza armata del terzo F-35B, ritenendola il primo tassello di un’evidente strategia che mira a spostare il termine della rinascita della Portaerei oltre il 2030, annichilendo di fatto tale preziosa capacità di proiezione.

L’Italia ha in programma l’acquisto di 30 F35B, 15 per la Marina e 15 per l’Aeronautica. Ad ogni aereo pronto per l’assegnazione inizia una vera e propria lotta tra le due FFAA di fronte alla quale credo debba prevalere l’interesse del Paese. Ma non sempre è così e la politica deve prendersi le sue responsabilità.

La non assegnazione alla Marina del terzo F35B-STOVL (a decollo verticale), costruito per essere impiegato prevalentemente dalle portaerei, è indice del fatto che, ancora una volta, abbia vinto l’interesse di parte su quello del Paese. Io sono profondamente convinta che, quando risulta difficile fare delle scelte a causa di una situazione conflittuale, è necessario decidere usando il “cannocchiale”, anziché attraverso la “lente di ingrandimento”, guardando cioè all’interesse generale. È questo che ci chiedono i cittadini. 

Che senso avrebbero le Forze armate se non fossero strumento di realizzazione di un interesse supremo di Difesa e Sicurezza? 

Che senso avrebbero se non fossero strumento di Politica Estera e proiezione del paese? 

Che senso avrebbe se lo Stato investisse nell’ultimo ritrovato dell’industria degli armamenti, che poi non venisse impiegato prioritariamente per lo scopo per cui è stato concepito, progettato, costruito (e nel caso di specie consegnato) per fare fronte alle minacce con cui il Paese deve confrontarsi?

Come dichiarai anche in una intervista di circa un anno fa, il primo momento di tensione sul tema F35-B si ebbe nel 2019, quando fui costretta a intervenire politicamente più di una volta prima che l’aereo fosse consegnato giustamente alla Marina e, dico giustamente, non perché io abbia delle preferenze, ma per delle precise motivazioni strategiche, peraltro presentate e condivise dal Consiglio Supremo di Difesa che, come sa è il massimo organo consuntivo in materia di Difesa previsto dal nostro ordinamento costituzionale. 

In particolare, il Consiglio convenne che era necessario per la difesa e sicurezza dell’Italia completare la “capacità portaerei disponibile”, esigenza che ho poi tramutato in una delle priorità del mio Atto di Indirizzo come Ministro della Difesa per l’anno 2019, consultabile sul sito web della Difesa. Per cui se quelle motivazioni strategico-politiche erano valide e necessarie fino al 2019, lo sono ancora di più oggi, che il completamento della capacità portaerei disponibile nei tempi previsti è a rischio.

L’Italia e il Mediterraneo

Considerando che senza il mare non è possibile lo sviluppo di tutte quelle attività necessarie all’esistenza e alla sussistenza dello stesso genere umano, dall’ approvvigionamento di cibo ed energia, ai commerci, ai collegamenti trans-oceanici, traduciamo quest’affermazione con qualche numero, per rendere meglio il concetto.

Il Mediterraneo è una “cerniera” tra tre continenti, quello europeo, quello africano e quello asiatico. Esso, pur rappresentando soltanto l’1% della superficie acquea globale, è interessato dal 19% del traffico marittimo mondiale, che sale al 30% per quanto riguarda il petrolio e al 65% per le altre risorse energetiche comprese quelle trasportate dai gasdotti sottomarini ed è nel mediterraneo che l’Italia – una Penisola stretta e lunga –  si protende con i suoi oltre 8.000 km di coste. Il mare è, per il nostro paese, il mezzo attraverso cui si muovono i principali flussi di import/export, per cui il saldo commerciale nel 2018 ha registrato un attivo di circa 40 Mld di eur, ponendoci tra i primi paesi al mondo. Il cluster marittimo dà occupazione a mezzo milione di lavoratori e a 5 milioni di lavoratori nell’indotto; contribuendo al PIL per il 2,6 pct; abbiamo la quarta flotta mercantile mondiale, la seconda flotta peschereccia europea e tra le prime flotte di traghetti al mondo. Per non parlare poi dell’altra rete che accoglie il fondo del mare, oggi vitale e in quanto tale anche fragile, cui forse la maggior parte di noi presta non molta attenzione, dandone gli effetti per scontati e ininterrotti. Mi riferisco, a internet. 

Dal mare ci giungono oggi le principali sfide. La prima, la più importante, la crisi in Libia. Un Paese diviso in due, con due governi che si combattono attraverso le milizie che li supportano e con l’appoggio finanziario, in termini di armamenti e di presenze militari di altre potenze regionali e non. Il rischio per noi è grande e si esprime in termini di aumentata insicurezza energetica, crescente instabilità a 2000 km dai nostri confini, aumento del rischio migratorio (la Libia assorbiva anche molti migranti che venivano dall’Africa), crescente rischio terroristico, riduzione delle opportunità per le nostre imprese. 

Ricordo che ai tempi della guerra in Libia del 2011, cui l’Italia partecipò nell’ambito dell’operazione della NATO “Unified Protector”, il dispositivo navale era tutto a guida italiana: il Comandante della Forza Navale della NATO era l’ammiraglio comandante il Comando Marittimo Alleato di Napoli (poi chiuso nel 2013), mentre il Comandante delle operazioni tattiche in mare era un altro ammiraglio italiano imbarcato sulla Nave di bandiera della nostra Marina (Etna). L’unica portaerei del dispositivo NATO era la nostra Nave Garibaldi con i suoi Harrier imbarcati. Vi era un’altra portaerei, ma in missione nazionale, e si trattava della francese Charles De Gaulle.  

Tornando a oggi, sulla base di un conflitto geopolitico regionale, già sufficientemente pericoloso, si aggiunge il nuovo protagonismo della Turchia che, con i due accordi firmati con la Libia il 27 novembre 2019, uno di collaborazione militare e l’altro sulle risorse marittime, ha reso ancora più complicate le relazioni nel Mar Mediterraneo orientale. Con il secondo accordo sono state infatti delimitate le aree di competenza dei due Paesi e la Turchia ha potuto dividere quello che la Grecia considera il territorio marittimo delle sue isole e ha dato un’ulteriore giustificazione alle proprie esplorazioni petrolifere nell’area di Cipro. 

Oggi la Turchia è presente in Libia, dopo aver sostenuto militarmente il governo di Tripoli nella guerra contro Haftar ed è responsabile anche della formazione della Guardia Costiera libica, che prima formavamo noi e dovremmo tornare urgentemente a farlo. Quella Guardia Costiera che oggi non mostra più il rispetto nei confronti dei migranti che mostrava quando collaborava con noi.

Le tensioni nel Mediterraneo crescono sempre di più, anche collegate ai progetti energetici, e sono comparsi altri soggetti, come la Russia, presente in Libia oltre che in molte zone africane, con la propria compagnia di mercenari, il Gruppo Wagner.

Dall’estate 2019 si è fatta concreta anche la crisi nello stretto di Hormuz a causa dell’assertività degli iraniani e quest’anno l’Italia ha aderito alla missione europea Emasoh.

In questo quadro è chiaro a tutti che l’essere dotati di una portaerei al massimo delle sue capacità permetterebbe al nostro Paese di poter esercitare azione di deterrenza, nonché di proiezione di potenza necessaria a tutelare i nostri interessi geostrategici. 

Mi sembra evidente che in questo contesto l’espressione effettiva della capacità portaerei è indispensabile per una efficace diplomazia 

L’Aeronautica ha già raggiunto la IOC (Initial Operational Capability) dei propri F35-A (a decollo normale). Affinché l’investimento che il Paese ha fatto sull’intera flotta F35 (60 a decollo normale e 30 a decollo corto/verticale) porti al più presto i suoi benefici in termini di utilità per la difesa e sicurezza del Paese, è necessario che anche la Marina raggiunga al più presto la sua piena capacità operativa, e questo è possibile solo quando riuscirà a completare il primo gruppo di volo imbarcato. 

Distribuire gli F35-B uno a Marina e uno ad Aeronautica è un modo per allungare senza motivo questi tempi. O forse il motivo c’è, ma non è chiaro e comprensibile anche ai cittadini normali, che con le tasse che pagano rendono possibili queste acquisizioni, per la loro stessa difesa e sicurezza attraverso le Forze armate. 

Come cittadina oggi, come Ministro ieri, mi preoccupo quando si sprecano risorse, o tempo – che è la stessa cosa – senza motivazioni, forse apparentemente, poco plausibili. 

Sul perchè non bisogna depotenziare la Marina e perché la capacità portaerei è strategica

Gli interessi nazionali nel dominio marittimo extra-territoriale posso essere ricondotti a tre macro-ambiti: energetici (con particolare riguardo all’estrazione e al trasporto petrolifero), traffico commerciale e attività di pesca. Cosa può dunque minacciare questi nostri interessi? Minacce che spaziano da quelle militari convenzionali, a quelle portate da attori sia statuali che non-statuali lungo le linee di comunicazione marittima (ad esempio gli attacchi contro petroliere nel Golfo Persico), al fenomeno della pirateria marittima in alcuni chock point di rilevanza strategica nazionale (come le acque al largo del Corno d’Africa dove da tempo l’Unione Europea ha avviato un’operazione militare marittima – Atalanta – cui l’Italia partecipa con una Unità Navale della Marina), al terrorismo (ad esempio il sequestro dell’Achille Lauro), ai traffici illeciti, che comprendono anche quello degli esseri umani e delle armi.

C’è anche un’altra motivazione che addussi due anni fa al Generale Vecciarelli: la Brexit. Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, i Paesi europei in possesso di una portaerei restano solo due, Italia e Francia, perché la Juan Carlos, spagnola, anche se dotata di ponte di volo, non è una portaerei. A questo punto è aumentato anche il nostro “valore” nell’ambito delle capacità di difesa europee e questo conferisce una maggiore forza al nostro Paese. 

Infine c’è una motivazione pratica: abbiamo fatto un grande investimento per migliorare il ponte di volo della Cavour, perché ritardare ancora nell’acquisizione degli aerei da imbarcare?

Sull’assegnazione di due FREMM all’Egitto

Il mio cuore subì un nuovo duro colpo: la cessione delle nostre ultime due fregate FREMM all’Egitto.

Attenzione, dice l’Ammiraglio Treu, “A seguito di ciò, l’Italia ora dispone di un numero totale di unità di prima linea – ossia di Caccia e di Fregate – inferiore persino all’Algeria, oltre che all’Egitto e alla Turchia.

Stiamo attenti a sottovalutare il rango dell’Italia nel Mediterraneo. Oggi la Turchia ha 26 fregate contro 14 dell’Egitto, 15 dell’Algeria e 12 dell’Italia, mentre per quanto riguarda le corvette/pattugliatori, la Turchia ne ha 37, l’Egitto 40, l’Algeria 6 e l’Italia 10. Credo che questi dati parlino da soli.

E bisogna considerare anche il sottodimensionamento della marina in termine di Personale.

E’ ora di capire che l’Italia non può permettersi una Marina depotenziata, come non può permettersi il depotenziamento di nessuna delle FFAA. Le scelte siano ispirate da priorità strategiche!

Il link a questo articolo pubblicato da Formiche:

https://formiche.net/2021/07/trenta-marina-treu/

Il discorso di commiato dell’ammiraglio Paolo Treu

Sottosegretario alla Difesa Senatore Stefania Pucciarelli, infinite grazie, da parte di tutti noi, per presiedere questa cerimonia, a testimonianza del grande affetto e della solidale vicinanza che ha sempre dimostrato verso il personale della Squadra Navale.

Autorità e gentili ospiti, Vi porgo la nostra corale riconoscenza per aver arricchito, con la Vostra presenza, questa vibrante atmosfera, colma di emozioni, nella cornice di Taranto, scintillante icona della marittimità nazionale e granitico pilastro della Marina.

Un deferente omaggio alla Bandiera di Guerra della Marina Militare e delle Forze Navali e che Dio ponga sul nemico il terrore di Lei, come chiediamo con il nostro canto, al tramonto, sul mare.  

Pari omaggio rendo alle Bandiere di Guerra del 1° Reggimento San Marco, delle Forze Aeree e del Comando Sommergibili.

Lancio il mio cuore commosso verso i nostri caduti, con l’impeto del mio più energico rispetto per il loro generoso sacrificio.

Un fraterno saluto al personale delle Capitanerie di Porto, dei Carabinieri per la Marina e della Lega Navale Italiana.

Un abbraccio ai soci dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia e delle Associazioni Combattentistiche.

La mia gratitudine alla Rappresentanza Militare, nonché ai Rappresentanti Sindacali, per la loro preziosa opera.

Un empatico e solidale omaggio ai nostri veterani e a chi soffre, nonché alle famiglie che hanno perso il loro cari.

Un affettuoso abbraccio ai nostri famigliari, che con la loro pazienza, affetto e amore ci donano forza, resistenza e coraggio.   

Un bacio amorevole e riconoscente a mia moglie Paola che, anche nella burrasca del peggiore e immeritato dolore, non mi ha mai fatto mancare il Suo indistruttibile sostegno.

Un marinaresco abbraccio a mio figlio Carlo, ex brigadiere della Scuola Navale Militare Morosini, molto legato alla Marina.

Un grato saluto a mia madre Lucia, una corazzata di 87 anni, espressione di genuino coraggio, autentica libertà di pensiero e grande umanità, accompagnata dalle mie tre sorelle e mio fratello.

Un goliardico saluto ai compagni di corso dell’Accademia e del Morosini, nonché al Presidente dell’Associazione di quest’ultimo.

Sono all’approdo finale, nel miglior incarico che mi poteva capitare e di questo ringrazio il Capo di Stato Maggiore della Marina.

Caro Pino, Ti avevo promesso una collaborazione leale, schietta e costruttiva, ma non supina, con un confronto dialettico, assicurandoTi che, nel momento della decisione, avrei comunque imbracciato il remo per vogare nella direzione da Te indicata o in alternativa avrei salutato, per l’ultima volta, la bandiera.

Ci conosciamo da tempo e Ti è sempre piaciuto evidenziare, anche scherzosamente, le nostre diversità nell’indole, con riferimento al mio nickname “Pitbull” guadagnato in teatri di feroci battaglie, in cui mi sono lanciato sulla preda senza preoccuparmi della mia incolumità personale … così come fa il pitbull.

Lo ammetto, non sono un leader per tutte le stagioni e mal mi adatto a navigare in acque calme per aggirare la tempesta.

La mia stagione è quella in cui è la Marina che si fa tempesta.  

Fra le battaglie c’è quella per l’F-35B, ossia il JSF Joint Strike Fighter a decollo corto e atterraggio verticale, necessario per rinnovare la capacità della Portaerei.

Una battaglia in cui mi sono sempre dato fuoco, consapevole delle ritorsioni, perché si tratta di una capacità strategica per l’Italia, specchio del Suo rango internazionale, militare e non.

Ho sofferto per l’assegnazione ad altra forza armata del terzo F-35B, ritenendola il primo tassello di un’evidente strategia che mira a spostare il termine della rinascita della Portaerei oltre il 2030, annichilendo di fatto tale preziosa capacità di proiezione.

La componente JSF imbarcata è infatti quella più pregiata, perché beneficia della versatilità dello strumento aeronavale, capace di muoversi avvalendosi della libertà dei mari e della Sua intrinseca autonomia logistica, in modo da raggiungere ogni parte del globo per lanciare le Sue Aquile Marine nel modo più costo-efficace, rapido e letale.

Ero Comandante in Capo da pochi mesi, ma sentivo l’imperativo morale di compiere un gesto eclatante, salutando per l’ultima volta la bandiera, per attirare l’attenzione del governo – e non solo – su una decisione che ritenevo molto dannosa per la nostra amata Italia.

Ma da quel gesto mi fece desistere l’esplosione della pandemia.

Mi sarei infatti sentito un vigliacco se, in quella burrasca, avessi abbandonato il timone della Squadra Navale.

In me prevalse il dovere morale di rimanere con le mie Donne e Uomini, per affrontare uniti e coesi quell’epocale emergenza.

Richiusi quindi in gabbia il pitbull che ringhiava in me e concentrai tutte le mie energie a sostegno del mio personale e delle relative famiglie, per riaccendere, con una nuova fiamma, la motivazione, l’entusiasmo e lo spirito di appartenenza dei nostri Equipaggi, veri artefici dei successi della gloriosa Squadra Navale.

Fu così che, armati di passione per il nostro lavoro e di amore per il nostro Paese, abbiamo assolto tutte le missioni programmate, proiettando a livello internazionale l’immagine di un’Italia grande, di un Paese che non molla mai e combatte con fierezza.

Sempre a causa della pandemia, continuai a tenere imprigionato in me quel pitbull, anche quando il mio cuore subì un nuovo duro colpo: la cessione delle nostre ultime due fregate FREMM all’Egitto.

Ciò è in controfase con la costante crescita degli impegni sul mare, cui si è aggiunta la missione EMASOH, nel Golfo Persico.

A seguito di ciò, l’Italia ora dispone di un numero totale di unità di prima linea – ossia di Caccia e di Fregate – inferiore persino all’Algeria, oltre che all’Egitto e alla Turchia.

E poi si consideri le conflittuali spartizioni del Mediterraneo, alle quali ha fatto seguito il potenziamento delle Marine di protagonisti emergenti, che impongono la necessità di presidiare e difendere – con le nostre unità di altura – la neo istituita Zona Economica Esclusiva, pena la soccombenza alla volontà altrui.

Tutto ciò mette in chiara e drammatica evidenza l’attuale sottodimensionamento dello strumento aeronavale, il cui elemento di pregio, ossia la Portaerei, rischia oltretutto di rinnovarsi alle calende greche, se i primi 15 F-35B, quantitativo minimo per il conseguimento della reale capacità, non andranno tutti alla Marina.

Con queste considerazioni ho voluto condividere, con l’Ammiraglio Enrico Credendino, due delle mie principali preoccupazioni, oltre alla nota e drammatica carenza di personale.

Caro Enrico, a Te che sei un dirigente di prestigio della nostra amata Marina, affido lo strumento aeronavale, ma soprattutto il Suo immenso cuore, la Sua vulcanica mente e le Sue infaticabili braccia, ossia il personale che anima e dà gloria alla Squadra Navale.

Caro Enrico, nei miei due anni di mandato è stato fatto molto per il personale e le relative famiglie, ma ancor più si può e si deve fare.

Più investirai in questa straordinaria risorsa e più raccoglierai in termini di successi operativi, per il bene della Marina e dell’Italia.

Donne e Uomini della Squadra, siete Voi i veri protagonisti di questa giornata, in quanto tenutari del passato, del presente e del futuro, elemento di continuità in un comando che cambia.

In questi ultimi giorni ho peregrinato, nelle varie sedi, per manifestare a tutti Voi i miei più sinceri e abissali sentimenti di gratitudine per gli straordinari risultati che avete conseguito.

Di fronte ai nostri successi voglio farmi piccolo, attribuendo il merito a tutti Voi, di fronte a ciò che si poteva fare meglio voglio farmi grande, assumendomene tutte le responsabilità.

A tutti Voi rinnovo la mia più sincera, commossa e affettuosa gratitudine per avermi regalato enormi soddisfazioni umane e professionali, che serberò per sempre fra i miei più cari ricordi e che proteggerò negli abissi del mio cuore.

Insieme a Voi, ho ritrovato il mio ambiente naturale, ho ritrovato me stesso, ho ritrovato il piacere di lavorare.

Il Vostro calore umano e la Vostra solidarietà, hanno peraltro curato le ferite causate dalla peggiore, ignobile e immeritata cattiveria che ho incrociato sulla rotta del mio precedente incarico

Ciò mi ha consentito di ridare significato al mio lavoro, perché in Voi e in tutto il personale della Squadra Navale ho trovato un più che meritevole obbiettivo su cui concentrare le mie migliori risorse ed energie.

Tuttavia, se sommo tutto ciò che Voi mi avete donato e lo confronto a ciò che io Vi ho donato, il mio sforzo mi pare davvero essere solo una goccia, in mezzo a un mare immenso.

Buon vento vi accompagni sulla rotta verso sempre più grandi successi e che la buona sorte Vi spiani i mari sulla rotta del vostro fulgido futuro.

La mia stagione – quella della tempesta – ha da tempo perso le sue foglie, la pandemia ha perso il suo volano e la metà superiore della clessidra ha perso il suo ultimo granello di sabbia.

Ora gli astri del mio destino sono allineati, la mia missione è giunta a compimento, il pitbull riprenderà la corsa … e non solo.

Ora posso, serenamente, salutare la bandiera, per l’ultima volta.

Viva la Squadra Navale! Viva la Marina!

Crisi Internazionali

Venezuela, è ora di prendere una posizione, prima di subire le conseguenze di posizioni ideologiche lontane dalla realtà

In questi giorni si è parlato molto di Venezuela, e stavo scrivendo le pagine che leggete ora, quando mi sono imbattuta nell’articolo di Paolo Mieli sul Corriere di domenica 21 giugno “Calcoli errati (a ovest)”¹ . Parlava anche lui dello stesso paese ma descriveva una realtà completamente diversa da quella che stavo descrivendo io. Mi chiedo come sia possibile portare avanti delle visioni così parziali del presente, quando i fatti sono sotto i nostri occhi con tutte le loro connessioni.
Immerso come tutti gli altri paesi al mondo nella crisi COVID19, il Venezuela ha registrato un limitato numero di casi – situazione molto poco credibile considerato quanto sta accedendo nei paesi confinanti, in ogni modo gli effetti sull’economia sono stati disastrosi soprattutto perché il crollo del prezzo delle materie prime e, in particolare, del petrolio, ha tagliato una delle più importanti fonti di reddito del Venezuela.

Il Venezuela è devastato da una profonda crisi economica e la popolazione vive una situazione disastrosa

È così che il paese con il maggior numero di riserve petrolifere non solo è a corto di cibo, ma anche di carburante. Le sue raffinerie sono ferme, colpite da una dipendenza tecnologica dagli Stati Uniti. Già prima dell’embargo era difficile che imprese USA vendessero pezzi di ricambio al Venezuela, dopo il 2017 è diventato impossibile e le riparazioni “artigianali” non sono bastate per degli impianti che hanno bisogno di costante manutenzione operativa. A questo si aggiungono le restrizioni sull’acquisto degli additivi, come l’etanolo, che ha sostituito il piombo nella benzina.

In aiuto del Venezuela l’Iran, che mantiene un’alleanza con il paese iniziata con Chavez e rafforzatasi con Maduro, ha inviato via aereo delle apparecchiature per la raffineria di Carson e cinque navi, con benzina e additivi. Una sfida aperta agli USA con minaccia di ritorsioni verso le navi americane nello stretto di Hormuz, in caso ci fossero interventi sulle navi iraniane. Scartata l’ipotesi militare, gli Stati Uniti hanno solo un’opzione, quella di adottare misure contro le petroliere iraniane.
In cambio dell’aiuto l’Iran sta continuando a ricevere lingotti d’oro dalle riserve venezuelane insieme alla possibilità di gestire direttamente, attraverso suoi direttori, le maggiori raffinerie del Paese. E probabilmente gestisce anche altro, se, come dichiara in un tweet Julio Borges, deputato venezuelano, “Sappiamo che dei consulenti militari iraniani hanno tenuto dei corsi all’interno della Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB) sulla propaganda e la guerra popolare prolungata; fa parte degli sforzi che Cuba ha già compiuto per esercitare il controllo sulle
comunicazioni dei vari comandanti della FANB
”².

Ma non finiscono qui le connessioni con l’Iran delle quali è protagonista Tareck El Aissami, nominato Ministro del petrolio in maggio, ricercato dagli Stati Uniti e sospettato di supporto a Hezbollah, il “partito di Dio”, proxy iraniano, che controlla vaste fasce di territorio in Venezuela, e guida il traffico di droga e l’estrazione illegale di minerali preziosi come diamanti, coltan, uranio, torio e l’oro.
Quando era Ministro dell’Interno fu proprio Tarek al Assaimi, che è di origine siriano-libanese, a fornire passaporti e carte d’identità per gli affiliati di Hezbollah che arrivavano in Venezuela. Imputato dagli USA per traffico di droga nel 2017, è stato di nuovo accusato in aprile di quest’anno dal tribunale federale statunitense per aver partecipato a una presunta cospirazione narcoterrorista con i ribelli colombiani per
inondare gli Stati Uniti di cocaina (200 – 250 tonnellate, che corrispondono a 30 milioni di dosi), al fianco di Maduro.

In seguito all’accusa è stata proposta una taglia di 10 milioni di dollari per informazioni che portino all’arresto di El Aissami e 15 milioni di dollari per l’arresto di Maduro.

Attraverso il narcotraffico in Venezuela Hezbollah, come pure Hamas, contribuiscono a finanziare le attività delle loro milizie e, nello stesso tempo, sono diventati protagonista e sponsor di un regime che spoglia il Venezuela delle sue risorse, per mantenere se stesso e i propri sostenitori, portando la popolazione alla fame.
Chi continua a descrivere Maduro come un presidente comunista che resiste contro l’avanzata del capitalismo diventa complice oggi di una cleptocrazia che ha portato il paese a un tasso di povertà del 94%, caratterizzato da repressione politica, declino dei servizi, del sistema sanitario e della scuola, corruzione e scandali. Un report delle Nazioni Unite dello scorso anno diceva “Malattie prevenibili come tubercolosi, difterite, morbillo e malaria sono riemerse nel paese e sono in aumento, come l’epatite A, a causa della mancanza di accesso ad acqua potabile sicura”. A quanto ammonteranno oggi i dati veri del COVID19, considerando che la maggior parte degli ospedali mancano di corrente elettrica, acqua e sapone, che i posti in terapia intensiva sono solo 163, che a Caracas non c’è neanche macchina per la risonanza magnetica funzionante e nei quaranta ospedali principali del paese ci sono solo 200 ventilatori polmonari? Per dare un’ulteriore misura della gravità, si pensi che mentre
una bottiglietta di gel disinfettante costa tra i 3 e i 5 dollari, lo stipendio mensile di un medico va dai 6 ai 15 dollari, quello degli infermieri è di circa 3 dollari.

In questo quadro, il governo usa la pandemia come occasione per rafforzarsi, con polizia, esercito, forze speciali di polizia (FAES) e gruppi armati vicini al governo che devono vigilare sulle misure d’isolamento, responsabili di arresti arbitrari e aggressioni.
Nell’articolo sul corriere si afferma che “una parte di popolo venezuelana, probabilmente maggioritaria, è schierata con il governo” piuttosto che con Guaidò³. È un po’ come dire che in Italia ai tempi del fascismo la maggioranza degli italiani erano fascisti, o in Germania, al tempo di Hitler, la maggioranza dei tedeschi erano nazisti. Vorrei chiedere a Mieli cosa pensi delle uccisioni extragiudiziali, dei sequestri, delle detenzioni segrete e torture di cittadini venezuelani documentate da associazioni per i diritti umani ed utilizzate come strumento di repressione politica dell’opposizione 4. Non è forse questo un mezzo per ottenere il “probabile supporto della maggioranza della popolazione al governo?”

Credo fermamente che il nostro Paese non possa continuare a “non prendere la parte di nessuno”. La posta in gioco non è solo il rispetto dei diritti di un popolo, che sta emigrando in massa per sfuggire alla fame, e che è composto anche da circa un milione di discendenti italiani, ma anche l’effetto che un Paese corrotto porta sulla sicurezza e stabilità internazionale.
Riciclaggio globale di denaro, corruzione, narcotraffico, estrazione illegale di minerali, e il ruolo di supporto di nazioni straniere e attori non statali 5 con i quali ci confrontiamo a livello regionale – nel Mediterraneo – e internazionale, fanno di Maduro il capo di un regime al centro di una rete criminale, che gli permette di restare al potere nonostante le sanzioni e le pressioni internazionali.
Nelle crisi il tempo della decisione è una variabile importante e se chi deve decidere non lo fa, saranno altri a decidere per lui.

Elisabetta Trenta


1 Paolo Mieli, “Calcoli errati (a ovest)”, Corriere della Sera, domenica 21 giugno 2020, https://www.corriere.it/editoriali/20_giugno_20/venezuela-non-solo-troppi-calcoli-errati-ovest-398b0a9c-b31d-11ea-8839-7948b9cad8fb.shtml?refresh_ce-cp

2https://twitter.com/JulioBorges/status/1275037476030160896?s=20

3 Il 23 gennaio 2019 il presidente dell’Assemblea nazionale Juan Guaidò, leader dell’ opposizione, si proclamò presidente pro tempore, per favorire una transizione post Maduro attraverso la convocazione di nuove elezioni

4https://rfkhumanrights.org/assets/images/RFKHumanRights-VenezuelaDisappearances-Spanish.pdf

5 “Identifying and Responding to Criminal Threats from Venezuela”, CSIS Briefs, 22/6/2019, https://www.csis.org/analysis/identifying-and-responding-criminal-threats-venezuela